Il convegno Il sistema Cie e la violazione dei diritti umani organizzato a Roma dalla campagna Lasciatecientrare venerdì scorso ha segnato un momento molto significativo: la richiesta di chiusura dei centri di identificazione ed espulsione è stata infatti condivisa collettivamente grazie alla presentazione di relazioni documentate che a partire da diversi punti di vista hanno mostrato l’inumanità e l’inefficacia del sistema di detenzione.
Ad intervenire molte associazioni, ma anche avvocati, giuristi, parlamentari, giornalisti, ricercatori e un rappresentante del Ministero degli Esteri. Assente invece il Ministero più direttamente interessato, quello dell’Interno.
Un convegno non di routine, dove la quantità e la brevità degli interventi non hanno ostacolato, come avrebbe potuto accadere, la qualità dei contenuti.
Sono stati presentati in apertura da Gabriella Guido un nuovo appello lanciato dalla campagna “Mai più Cie” e il documento “Alcune proposte per chiudere i centri di detenzione per stranieri per una nuova politica dell’immigrazione”. I due documenti non lasciano spazio ad ambiguità e ad incertezze: i centri di detenzione sono luoghi in cui i diritti umani vengono continuamente violati (purtroppo non solo Italia), non assolvono per altro alla funzione ad essi attribuita dal legislatore (l’esecuzione effettiva delle espulsioni delle persone in essi detenute) e devono essere chiusi.
Debole l’intervento a loro difesa fatto da Marco Del Pianta, Direttore centrale per le questioni migratorie del Ministero degli Affari Esteri, tutto concentrato sulla constatazione del fatto che l’allungamento a 18 mesi del periodo massimo di detenzione trova scarsa effettività e che ha identificato nella scarsa collaborazione delle ambasciate dei paesi di origine il punto più problematico.
Di parere diverso Chiara Tamburini, Consigliere presso la Commissione LIBE del Parlamento Europeo che con un intervento molto chiaro e incisivo ha sottolineato come nel corso delle visite effettuate nei centri di detenzione in vari paesi europei sono stati riscontrati “trattamenti inumani e degradanti ai limiti della tortura” raccontando, ad esempio, di un migrante sordomuto detenuto a Malta in una cella di un metro per due oppure di un centro di detenzione greco che è privo di corrente elettrica. Ma, soprattutto, Tamburini ha contestato in modo molto puntuale l’affermazione secondo la quale è l’Europa a chiederci di mantenere il sistema, citando gli art.11, 15 e 16 della Direttiva 52/2008 (nota come direttiva rimpatri): gli stati membri possono astenersi dal divieto di ingresso per motivi umanitari e quando la persona non può essere allontanata può essere rilasciata. Perché non prevedere in questi casi il rilascio di uno specifico permesso di soggiorno evitando la spirale che ha fatto uscire e rientrare più volte i migranti dai/nei Cie nella persistenza della loro mancata identificazione?
Tra i punti maggiormente sollevati: la grandissima presenza nei Cie di ex-detenuti che non vengono identificati in carcere (come dovrebbe avvenire): lo hanno evidenziato tra gli altri i ricercatori del International University College of Turin (nel CIE di Torino nel 2011 hanno costituito il 30%) e Fulvio Vassallo (Università di Palermo) secondo il quale nel CIE di Milo la percentuale avrebbe raggiunto ‘l’80.
Vassallo si è soffermato anche su un aspetto di cui si parla troppo poco: la prassi della detenzione in strutture informali o in centri di prima accoglienza in zone portuali e aereoportuali, in aperta violazione dell’art 13 della Costituzione secondo il quale, ricorda l’avvocato Alessandra Ballerini, “la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge” . Ma purtroppo sono moltissimi i casi di trattenimento arbitrario non sottoposti a una convalida giurisdizionale.
Importante anche la presa di posizione di Roberto Di Giovan Paolo, senatore PD e membro della Commissione dei Diritti umani che schierandosi nettamente per la chiusura dei Cie, li considera come uno dei segnali più evidenti del “fallimento dell’idea della securitizzazione”, asse portante delle politiche sull’immigrazione dell’ultimo decennio, non mancando di ricordare che uno dei modi migliori per limitare la presenza di immigrati privi di permessi di soggiorno è facilitare il loro ingresso “regolare” in Italia.
Non è infatti possibile tenere distinta la questione della detenzione amministrativa dei migranti dalla necessità di riformare complessivamente l’impianto delle politiche migratorie e sull’immigrazione. Proprio sui punti prioritari di una “nuova politica sull’immigrazione” si soffermano i due documenti prodotti dalla campagna: dalla riforma della disciplina sull’ingresso, sul soggiorno e sui ricongiungimenti familiari alla introduzione di meccanismi di regolarizzazione permanente; dalla riforma della legge sulla cittadinanza (sulla base del principio dello ius soli) alla revisione della disciplina sui respingimenti e sulle espulsioni alla, importantissima, introduzione del reato di tortura nel nostro sistema penale.
Impossibile riportare interamente la ricchezza del dibattito: ma chi volesse seguire l’evoluzione della campagna può fare riferimento al suo nuovo sito www.lasciatecientrare.it, magari scegliendo di entrare a farne parte.
Leggi l’appello della campagna: http://lasciatecientrare.it/index.php/la-campagna/mai-piu-cie/
Clicca qui per leggere le proposte per una nuova politica dell’immigrazione