Oggi il presidente della commissione Juncker intervenendo in Parlamento ha pronunciato parole molto dure invitando i rappresentanti dei Governi europei ad approvare senza indugi il nuovo piano della Commissione che prevede la ricollocazione di 120mila rifugiati (oltre i 40mila previsti nel piano presentato nel maggio scorso). La novità risiede nell’obbligatorietà dell’accettazione che prevede sanzioni economiche per i paesi che non accettano il piano.
Il 14 settembre una riunione del Consiglio Europeo Giustizia e Affari Interni sarà chiamata a discutere il piano. Ma alcuni paesi hanno già annunciato che non sono d’accordo.
Ora: indubbiamente la situazione di oggi non è quella di tre mesi fa.
Migliaia di persone hanno imposto l’apertura delle frontiere ungheresi, austriache e tedesche. Migliaia di cittadini europei in Grecia, come in Italia, in Austria e in Germania hanno espresso la loro solidarietà ai rifugiati in modo molto concreto. Angela Merkel ha sospeso unilateralmente ma temporaneamente il Regolamento Dublino III per i rifugiati siriani annunciando la disponibilità ad accogliere 500mila persone l’anno nei prossimi anni, e stanziando 6 miliardi per la loro accoglienza.
Sono tutte novità positive che non devono però farci pensare che improvvisamente tutto è risolto.
L’Europa è quella che:
dal 2000 ad oggi ha speso ben 13 miliardi per fortificare le sue frontiere: miliardi utilizzati per acquistare navi e droni, software per affinare la sorveglianza dei mari e delle frontiere e dispositivi per scannerizzare le impronte digitali, per innalzare muri e barriere di protezione. Miliardi che hanno arricchito molte aziende europee tra le quali Finmeccanica, la stessa che produce ed esporta armi in quei paesi dai quali provengono molte delle persone che sbarcano sulle nostre coste.
Ed è quella che ha speso almeno altri 11 miliardi per i programmi di rimpatrio. Si aggira invece sui 15,7 miliardi il giro di affari che si è sviluppato intorno al traffico dei migranti diretti in Europa.
La domanda è: quante vite umane avremmo potuto salvare se queste risorse europee e nazionali fossero state destinate alle operazioni di ricerca e soccorso in mare? Quante sofferenze si sarebbero potute evitare se fossero state investite nell’apertura di corridoi umanitari o nel miglioramento dei sistemi di accoglienza di quei paesi europei, tra i quali il nostro, che non hanno standard adeguati?
L’Europa è stata sino ad oggi quella degli ottusi egoismi nazionali e del vergognoso rimpallo di responsabilità tra i paesi del sud, privi di sistemi di accoglienza e di inclusione sociale decenti ma più esposti agli arrivi, e quelli del Nord, meglio organizzati. E’ quella che ha discusso di pattugliamenti navali e di distruzioni di barconi e non è riuscita a mettersi d’accordo per redistribuire nei 28 paesi membri un totale di 40.000 rifugiati in due anni. 40mila: nel 2013, Pakistan, Iran, Libano, Giordania, Turchia, Kenya, Ciad, Etiopia, da soli, ne hanno accolti circa 5 milioni e mezzo.
L’Europa ha lanciato la guerra ai trafficanti, ma ha occultato le sue responsabilità: sono i maggiori paesi europei, Gran Bretagna e Francia in testa, seguiti da Germania e Italia ad aver promosso, insieme ad altri, pesanti interventi politico-militari in Africa e in Medio Oriente. Basta ricordare la guerra in Afghanistan, il supporto dato alla ribellione contro il regime siriano, l’intervento in Libia, il ruolo svolto nella recrudescenza di vecchi conflitti tra le popolazioni in Africa Centro-orientale. Sono negli ultimi 5 anni almeno 15 i conflitti, e la comunità internazionale ha la responsabilità di non aver avuto la capacità di fermarli.
L’Europa sino ad oggi è stata quella del rifiuto, dell’esclusione, della negazione dei diritti umani fondamentali a migliaia di persone.
Noi speriamo che sia finalmente giunto il momento giusto per un cambiamento di rotta. Ma il nostro compito è continuare a vigilare e a moltiplicare le iniziative di sostegno concreto alle persone che giungono nelle nostre città. Perché il contraltare dell’abile cambiamento di strategia del Governo tedesco potrebbe significare un ulteriore irrigidimento delle politiche di controllo dei mari e delle frontiere, soprattutto nel Sud dell’Europa e del Mediterraneo. La richiesta insistente di aprire in tutta fretta in Italia e in Grecia gli hot-spot, nuovi centri destinati all’identificazione delle persone e alla “selezione” tra migranti economici e richiedenti asilo, apre le porte a nuove violazioni dei diritti umani fondamentali e a procedure di identificazione forzata. La stesura di una lista di paesi “sicuri” che non può che essere discrezionale apre la possibilità che migliaia di persone provenienti da paesi giudicati “sicuri” (la Turchia? l’Afghanistan? la Somalia?) e a rischio di persecuzione, vedano negata la loro richiesta di asilo.
Di fronte a questi rischi molto concreti, dobbiamo essere pronti ad intervenire e a coordinarci, singoli e realtà organizzate, a livello locale, nazionale ed europeo. Ben vengano dunque tutte le iniziative, a partire dalla Marcia delle donne e degli uomini scalzi di venerdì, che in questi giorni stanno di nuovo mettendo insieme centinaia di persone in molte città italiane che non sono disposte a stare a guardare. Le proposte politiche ci sono già e sono molte, basta dare uno sguardo ad alcuni materiali prodotti da reti e associazioni (ad esempio si veda il documento realizzato da Asgi sull’Agenda europea sulle migrazioni, il manifesto L’Europa sono anch’io creato dalla campagna L’Italia sono anch’io, l’Agenda dei diritti umani in Europa prodotta da Lunaria, Antigone e Associazione 21Luglio).
Ciò che serve ora è agire.