Montereale Valcellina, provincia di Pordenone. Sono trascorsi circa tre anni da quel settembre del 2009, quando El Ketaoui Dafani uccise sua figlia Sanaa. Ieri, 23 aprile, in tarda serata, si è concluso il processo con la conferma in Cassazione della condanna dell’uomo a 30 anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali. La Cassazione non ha quindi accolto il ricorso presentato dalla difesa che ha contestato la premeditazione del delitto. Nel secondo grado di giudizio a carico di El Ketaoui Dafani, che ora ha 49 anni, era stata già diminuita la pena, che nel primo grado era l’ergastolo.
Si dichiara soddisfatta la solita Souad Sbai (Pdl), commentando la notizia alle agenzie di stampa: “Sanaa Dafani, ragazza della seconda generazione, decapitata dal padre nel 2009 perché voleva essere libera, ha avuto giustizia. Non c’è più appello a cui l’odiosa attenuante culturale possa fare ricorso. Non c’è vittoria ma solo giustizia, finalmente definitiva e totale. Ho fiducia nella giustizia, ne ho sempre avuta e non sono rimasta delusa. Un plauso sentito va al Pm e ai giudici, che hanno saputo e voluto capire la vicenda non solo nella sua particolarità, ma soprattutto in relazione a quanto essa incide sull’andamento della nostra società”.
Nel nostro secondo libro bianco sul razzismo in Italia, abbiamo proposto una diversa chiave di lettura sull’accaduto rispetto a quella prospettata dalla stessa Sbai e da parte di molti operatori dei media. Ve la proponiamo in allegato.