Un episodio che ha dell’allucinante e dell’inquietante insieme, quello accaduto a Ferrara, città che ospita il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah, riportato oggi dal quotidiano “Il Resto del Carlino”. In una scuola media, uno studente è stato aggredito e preso per il collo negli spogliatoi della palestra da alcuni compagni di classe. L’hanno insultato in ragione della sua “appartenenza” alla religione ebraica: “Quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni, ebrei di m…”, gli avrebbero detto durante l’aggressione.
L’episodio, consumatosi nei giorni scorsi, è stato immediatamente denunciato dalla rappresentante di classe insieme ai genitori dello studente aggredito, suscitando numerose reazioni, a partire dall’istituzione scolastica.
La preside, dopo aver sottoposto il caso all’Ufficio scolastico territoriale, ha fatto sapere che la questione è già stata affrontata all’interno della classe tra docenti e studenti e che il giovane aggressore, una volta scoperto, si sarebbe scusato, promettendo che non avrebbe mai più proferito simili offese. La preside ha anche annunciato di avere in programma un consiglio di classe straordinario per capire meglio, anche con i docenti, la dinamica dell’accaduto.
Tuttavia, la stessa dirigente, malgrado le iniziative messe in atto, ha invitato alla “cautela”: “Si tratta di un episodio che va preso con la giusta serietà, senza essere sminuito, ma che deve essere trattato con il massimo della cautela e della discrezione, perché specialmente tra i giovani è presente un germe di qualcosa che può esplodere“.
Sono stati immediatamente messi al corrente dell’accaduto anche Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Andrea Pesaro, guida della comunità ebraica ferrarese, e Luciano Meir Caro, rabbino capo della comunità ebraica estense.
Lo sdegno è collettivo. E’ infatti inaccettabile che cose simili possano accadere in una scuola. Così come non è accettabile farle passare sotto silenzio o ancor peggio sminuirle, soltanto in ragione del fatto che si tratta di “ragazzini”.
Ancora una volta la stampa, in poche ore, è riuscita a coniare una espressione priva di senso: “atti di bullismo a sfondo antisemita”. E nel goffo tentativo di dare risonanza all’accaduto non ha fatto altro che ripetere l’insulto nei titoli o sottolineare il richiamo all’”ebreo”, di fatto propagando ancora di più le parole di odio e di disprezzo e segnando distacco e differenza. E’ evidente che il termine “ebreo” sta tornando a far risuonare sempre più quel senso negativo di disprezzo, che ricorda tempi davvero bui della nostra storia.
Viviamo un momento storico in cui si ha paura di chiamare le cose ed i fatti con il proprio nome. Un momento in cui si tende a negare l’evidenza di un problema, quello del razzismo, in tutte le sue forme, che non è un’emergenza, ma è un fenomeno sociale diffuso con cui sarebbe bene confrontarsi in modo serio.
Un caso di antisemitismo come quello avvenuto a Verona, non ha nulla ha a che vedere con il “bullismo” (la confusione tra razzismo e bullismo non è del resto nuova, noi lo avevamo già ricordato nel caso dell’aggressione ad un bambino egiziano a Roma di recente). Che vengano invocati “i forni”, è una delle più frequenti manifestazioni dell’odio in rete e sui social. Di “letteratura” in merito ne avremmo tanta. Ma che dei minori siano in grado di invocare gli stessi “i forni” dello sterminio nazista contro un coetaneo, è una cosa che fa davvero rabbrividire.
Se l’odio razzista riesce a contaminare anche l’innocenza e la spontaneità dei più piccoli, è il segnale che stiamo sprofondando sempre più in basso. E la domanda che bisognerebbe porsi in casi come questi è: perché questo accade oggi sempre più spesso? Quale influenza esercitano sui più giovani le dichiarazioni e i messaggi denigratori e violenti propagati in rete da parte di personaggi che hanno grande visibilità nel dibattito pubblico?
Perché una cosa è certa: se a un “ragazzino” viene in mente di evocare i forni dei campi di concentramento per offendere un coetaneo, è probabile che lo faccia imitando qualcuno e riproponendo frasi udite o lette da qualche parte.