Quel che sta accadendo nel piccolo centro di Cicagna è piuttosto grave, ma soprattutto sottovalutato e sottaciuto dai principali mezzi di comunicazione. Stiamo oramai da giorni seguendo la vicenda di Aabboudi Yassine, il cittadino marocchino picchiato e abbandonato sulla strada per Verzi da tre “giustizieri della notte”. Dopo le sconcertanti dichiarazioni del capogruppo dell’Udc in Regione Liguria, nonché ex sindaco di Cicagna, Marco Limoncini (che definiva Yassine un “un delinquente di professione ladro”), apprendiamo dalla stampa locale che alcuni cittadini di Cicagna hanno organizzato una raccolta di firme “per esprimere solidarietà” ai tre accusati del pestaggio. Le motivazioni? «Tenuto conto che i problemi esistono e che non possono essere risolti da sé. Non vorremmo però che fossero loro tre, persone normali, oneste e lavoratori, a pagare per una situazione di disagio ed esasperazione causata da un soggetto divenuto un problema per la società». Ed è cosi che i piccoli media locali riportano al centro dell’attenzione il “problema insicurezza”, raccogliendo testimonianze ad hoc. Ma in barba alle accuse formulate dai cicagnesi e alla presunta “insicurezza”, la Procura di Chiavari, due giorni fa, smentisce tutti: «L’episodio accaduto a Cicagna è molto grave. Non risulta allo stato un collegamento tra la persona che è stata picchiata e i furti in abitazioni della zona. Inoltre, in 8 mesi, ai carabinieri di Cicagna sono giunte solo tre denunce di furti in appartamenti. Dalle informazioni ricevute dagli investigatori – viene spiegato – non risulta, quindi, ci sia una proporzione tra lo stato di agitazione diffuso per i furti e quanto è accaduto. Se qualcuno ha dei sospetti su una persona deve segnalarlo alle forze dell’ordine. In ogni caso non sono ammissibili iniziative di questo tipo». Ed il giudice per le indagini preliminari, Fabrizio Garofalo, nelle sette pagine che motivano l’arresto dei tre “giustizieri”, non ha mezzi termini: «Un’azione vile e spregevole, indice di una estrema pericolosità sociale. Si tratta di violenza bruta, gratuita, non estemporanea, ma premeditata, posta in essere nei confronti di un cittadino extracomunitario, che vive ai margini della società, in base a pregiudizi presumibilmente legati anche a motivi di odio razziale». Ma non è ancora giunto il momento di cantare vittoria. Oggi, all’indomani delle dichiarazioni del gip, ecco che compare in paese un manifesto di minacce contro gip, prete e maresciallo dei carabinieri a difesa dei tre italiani arrestati per il pestaggio. Il manifesto, immediatamente sequestrato, definisce il parroco “comunista” perché “faceva elemosina al marocchino”, il gip è minacciato per avere firmato gli arresti, il maresciallo per avere riconosciuto i tre. E non finisce qui: una lettera di una quarantina di righe scritte a mano, inviata alla redazione chiavarese del quotidiano il Secolo XIX: «Com’è cambiato il mondo: le vittime diventano delinquenti e stanno in carcere, viceversa i delinquenti si trasformano in vittime e stanno fuori. È il caso del magrebino Yassine, di professione ladro, e dei suoi “brutali aggressori”, onesti lavoratori e padri di famiglia che si sono permessi (a ragione o a torto) di dargli una lezione esasperati dai suoi continui furti e dalla sua strafottenza. Vogliamo chiedergli scusa? Scusa – prosegue la lettera – perché vogliamo salvaguardare le nostre famiglie, la nostra tranquillità, le nostre case? Scusa perché lo costringiamo a entrare dalle finestre? Magari se ci telefona prima di una sua visita possiamo fare in modo di alleggerirgli il lavoro lasciando le porte aperte?». In chiusura l’invito a Yassine perché vada via: «Mi dia ascolto, appena può sparisca. Forse non si rende conto di quello che ha scatenato e potrebbe esserci altra gente con gli attributi ancora più esasperata. Non siamo tutte pecore, c’è ancora qualche lupo e sinceramente di quelli come lei faccio volentieri a meno. Siamo preoccupati per la ferita al braccio, temono forse che possa compromettere la sua attività di ladro? Magari arriveremo anche a darle la pensione…. Ha lasciato moglie e figlia in Marocco, ma quanti ce ne sono così eppure si sono integrati, lavorano e vivono onestamente e ci rispettano come noi rispettiamo loro, lui no, non ha casa, non ha lavoro e allora ruba, è molto più comodo e meno faticoso. Perché non torna al suo paese? Perché là ai ladri tagliano le mani invece qui le autorità competenti ti trasformano in vittima». Una firma illeggibile in calce chiude la lettera.