Atto Camera 4-10180
Presentata da DURANTI Donatella
5 agosto 2015, seduta n. 476
Ambito di interesse: accoglienza richiedenti asilo Taranto, gestione sistema di accoglienza
Al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
negli ultimi anni la città di Taranto ha dovuto gestire l’accoglienza di decine di migliaia di profughi;
la stragrande maggioranza di loro, dopo un breve periodo di permanenza nella città, sono stati trasferiti verso altre località italiane, mentre poche centinaia di persone, tutte richiedenti protezione internazionale, sono ospitate nelle strutture di accoglienza di Taranto e provincia;
in data 15 maggio 2015, a seguito delle indagini della direzione distrettuale antimafia di Lecce venivano sequestrati beni e denaro riconducibili al clan mafioso D’Oronzo-De Vitis, che nell’ottobre dell’anno precedente era stato falcidiato da una raffica di arresti nell’ambito dell’operazione «Alias». Tra i beni oggetto del decreto di sequestro compariva la cooperativa «Falanto Servizi»;
come si legge in un articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 28 maggio 2015 a firma Francesco Casula, il clan aveva interessi nell’assistenza dei migranti attraverso la cooperativa «Falanto Servizi», la quale aveva ricevuto in affidamento il servizio di distribuzione pasti in un centro nel quale vengono ospitati i richiedenti protezione internazionale una volta giunti nel porto di Taranto;
con un contratto firmato nello scorso marzo con l’associazione «Salam», oltre al servizio pasti, venivano affidati alla cooperativa il servizio di pulizia, dei cosiddetti «effetti lettericci» (servizi legati alla fornitura di lenzuola, cuscini e altro) e la guardiana, sia diurna che notturna, di una struttura situata a pochi passi dal quartiere Paolo VI di Taranto;
secondo quanto riportato nell’articolo citato a confermare gli affari della «Falanto Servizi» sarebbe Salvatore Micelli, già consulente della cooperativa e oggi curatore della stessa, che interpellato dal quotidiano, precisava che si tratta «di un contratto per fornitura di servizi. Non è un contratto di appalto direttamente con la prefettura ma di un subappalto dell’associazione Salam» che, a sua volta, ha vinto una gara bandita proprio dalla Prefettura;
in un primo momento, quanto dichiarato da Salvatore Micelli veniva categoricamente smentito da Simona Fernandez, responsabile dell’associazione Salam, che affermava invece, sempre al giornale, che l’associazione si affida per la distribuzione pasti direttamente a una grossa azienda del territorio;
circa un mese dopo, esattamente il 28 giugno, la presidente dell’associazione Salam, Simona Fernandez, dopo la pubblicazione dell’inchiesta della Gazzetta sul business degli immigrati a Taranto ha chiesto di replicare e spiegare una serie di punti sulla vicenda con una intervista effettuata dallo stesso giornalista Casula di cui si riporta integralmente di seguito il testo:
Fernandez, procediamo con ordine. Partiamo magari dall’assegnazione dell’immobile di via Anfiteatro senza bando di gara? «Guardi sul Centro Nelson Mandela deve sapere una cosa: viene inaugurato il 3 novembre dello scorso anno, ma l’assegnazione ufficialmente è datata marzo 2015 e sa perché? Perché in realtà noi paghiamo l’affitto da ottobre 2014, ma il Comune aveva sbagliato il primo contratto per l’immobile di via Anfiteatro e ha dovuto rifarne un altro. L’associazione Salam ha fatto solo una richiesta al Comune: sono loro che devono sapere che quell’immobile deve essere assegnato con un bando pubblico. E poi, mi creda, anche i beni confiscati alla mafia a Taranto sono stati assegnati senza bando pubblico: vada a controllare».
A proposito di mafia, ma l’accordo con la Falanto servizi? «Prima di firmare la convenzione con Falanto Servizi, io avevo chiesto agli organi competenti se questa società era in regola e mi è stato risposto che era tutto ok».
E chi sono questi organi competenti? «La prefettura, ma non solo. Io ho comunicato che per controversie nate con i gestori di una struttura, stavamo trasferendo i migranti in un’altra struttura gestita dalla Falanto Servizi».
E la prefettura non le ha fatto presente che quella cooperativa era al centro di una grossa indagine dell’antimafia? «Certo che no altrimenti avrei bloccato tutto».
Ammetterà quindi che un rapporto con la Falanto lei l’ha avuto? Nelle altre interviste lo aveva negato. «Sì, perché in realtà la convenzione con la Falanto Servizi faceva parte di una proposta per il bando di gara che non è ancora stato aggiudicato definitivamente e quindi per me è ancora coperto dal segreto. Avevamo anticipato il rapporto solo per una questione di emergenza e ovviamente dopo aver informato la prefettura. E poi non volevo in alcun modo che i dipendenti dell’associazione Salam fossero turbati da questa vicenda».
E poi com’è andata a finire? «Malissimo. Il 30 aprile, giorno del trasferimento, il referente della Falanto, Salvatore Micelli, venne a dirci che la struttura non era più disponibile perché qualche giorno prima stata venduta: praticamente eravamo per strada e fortunatamente siamo riusciti a trovare una soluzione in brevissimo tempo. Poi è uscito il vostro articolo e io ho inviato una mail alla prefettura facendo presente che quella parte del progetto che avevamo presentato era da considerare non più valido. In sostanza come Salam rinunciavamo all’assegnazione di 100 migranti che erano quelli che avremmo dovuto sistemare nelle strutture della Falanto».
E con i precedenti albergatori convenzionati perché avete risolto i contratti? «Perché la prefettura non ci pagava dicendo che non riceveva i fondi dal ministero e quindi noi non potevamo onorare gli impegni coi fornitori: i debiti si sono accumulati e loro hanno agito per vie legali. Il rapporto si era logorato e non potevamo andare avanti».
Ma tutto questo la prefettura lo sapeva? «Certo che lo sapeva, abbiamo comunicato ogni cosa. Ma credete davvero che per la Salam sia un business? In occasione degli sbarchi la nostra associazione mette a disposizione gratuitamente alla prefettura mediatori culturali e traduttori. Siamo soggetti a ogni tipo di controllo. Le dirò di più: a causa dei ritardi nei pagamenti avevo deciso di chiudere il servizio, sa cosa mi hanno detto?».
Che rischiava una penale. «Esatto, ma non solo. Sulla base di una legge del 1923 è stato imposto il cosiddetto “quinto d’obbligo”: hanno obbligato la Salam ad accogliere un numero maggiore di migranti rispetto al numero stabilito con la gara che avevamo vinto. Solo alla Salam. Perché agli altri no? Io oggi potrei chiedere il pagamento della mora alla prefettura, ma non lo faccio».
Perché? «Perché, le ripeto, la Salam non vuole farne un business sulle vite dei migranti né sullo Stato che li accoglie».
Ma lo Stato si sta servendo di voi per fare un business? «Questo non posso escluderlo, ma non tocca a me scoprirlo»;
dall’articolo e dall’intervista riportata emergono diverse questioni che andrebbero chiarite e soprattutto affiorano opacità che sarebbe bene diradare;
in aggiunta a quanto riportato, emergono altre dubbie vicende che sono state oggetto di interesse da parte della stampa locale e che sono a conoscenza dell’interrogante su cui sarebbe bene fornire spiegazioni, anche in virtù del necessario e irrinunciabile esercizio di controllo democratico in una questione, quella dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che in più di un caso ha destato preoccupazione e scandalo nell’opinione pubblica del nostro Paese;
esigono quindi un approfondimento le vicende dell’affidamento della scuola Lisippo al quartiere Tamburi, dove la Caritas gestisce un centro di accoglienza per minori non accompagnati e dove risulta che, per quanto di conoscenza dell’interrogante, a fronte di un pagamento di 45 euro a persona, non vengono corrisposti i compensi per canone di affitto della struttura e pagamento delle utenze;
così come esige un chiarimento il motivo per cui l’Hotel Bel Sit con una licenza per circa 70 persone ne ospiti il doppio;
dubbia risulta poi agli interroganti la comprensione di come sia potuto accadere che un capannone industriale nel quartiere Paolo VI, che ospita più di 25 persone e quindi eccedente la normativa sulle strutture ricettive, sia stato autorizzato come centro di accoglienza;
analoga domanda si può porre per l’adiacente salone della parrocchia del Corpus Domini di Paolo VI che ospita oltre 80 minori non accompagnati –:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
se il Ministro sia a conoscenza di inadempienze o altri fatti di mala gestione dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale dell’area di Taranto;
quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro per porre fine a queste vicende e se non intenda disporre una inchiesta interna su quanto accaduto per verificare eventuali responsabilità.
L’atto è disponibile presso la banca dati della Camera:
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/startpage.asp