Atto Camera 4-09764
Presentata da PASTORINO Luca
9 luglio 2015, seduta n. 458
Ambito di interesse: respingimenti, Ventimiglia, garanzia diritti umani
Al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
i fatti esposti in questa interrogazione sono stati appresi dall’interrogante lo scorso 19 giugno durante un sopralluogo a Ventimiglia, in particolare presso il valico di Ponte San Ludovico – dove sono presenti i due posti di polizia italiana e francese –, assieme al collega deputato Stefano Quaranta;
l’Accordo di Chambery prevede che i cittadini di Stati terzi in territorio francese (o viceversa) i quali non soddisfino le condizioni di soggiorno possano essere fisicamente riconsegnati («riammessi» in linguaggio giuridico) alla polizia di frontiera italiana, qualora sia accertato che sono entrati in Francia dopo essere transitati nel nostro Paese. La prova del transito deve essere basata su elementi di fatto individuati dall’Accordo medesimo, quali esempio il possesso di un titolo di trasporto nominativo (articoli 5 e 8 e Annesso I, punti 2 e 3). Nessuno, comunque, può essere consegnato alle autorità di frontiera italiane senza che le stesse abbiano accettato la riammissione (Annesso I, punto 1.5); a questo fine, la polizia italiana dispone delle quarantotto ore successive alla ricezione del verbale di riammissione per decidere se ammettere o rifiutare la riconsegna (Annesso I, punto 1.4), mentre le forze di polizia d’Oltralpe non potrebbero, per la legislazione nazionale, privare qualcuno della libertà personale oltre le quattro ore senza avvertire il pubblico ministero. Le disposizioni dell’Accordo di Chambery prevedono infine degli uffici di coordinamento unificati composti di agenti della polizia italiana e di quella francese e individuano con precisione le aree di frontiera nelle quali possono essere svolte operazioni coordinate di controllo,
i diritti di difesa, e dunque il diritto a un ricorso effettivo, sono garantiti in favore di qualsiasi persona, quale che sia il suo stato giuridico, dalla Costituzione italiana (Articolo 24), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Articolo 47) e da tutte le carte che costituiscono la tradizione costituzionale comune a fondamento della stessa Unione europea;
lo stesso Accordo di Chambery prevede espressamente all’articolo 24 che «le disposizioni del presente accordo non ostacolano l’applicazione degli accordi sottoscritti dalle parte contraenti in materia di tutela dei diritti dell’uomo»;
la Direttiva «Rimpatri» 2008/115/CE in materia di respingimenti chiede il rispetto dei diritti di difesa, da riconoscere a ogni essere umano assieme alla mediazione linguistica e la conoscenza effettiva dei provvedimenti adottati dalle autorità di polizia, anche ai fini di un eventuale esercizio del diritto di ricorso;
la già citata Carta dei diritti dell’Unione europea, all’articolo 19 vieta in modo espresso qualsiasi respingimento collettivo, senza distinguere tra frontiere esterne e frontiere interne;
non ci sono e non ci possono essere zone franche rispetto al principio di legalità e alla riserva di giurisdizione. Non esistono in Europa terre di nessuno, zone di transito o sale di attesa, nelle quali le polizie possano limitare la libertà personale di circolazione con procedure sommarie impedendo così alle persone anche l’accesso a una procedura equa per il riconoscimento della protezione e il conseguente inserimento nei sistemi nazionali di accoglienza;
l’articolo 6 della Direttiva «Procedure» 2013/32/UE prevede che ogni domanda di protezione internazionale presentata a un’autorità competente (come polizia e guardie di frontiera) sia registrata entro tre giorni lavorativi; se presentata a una autorità non competente per la registrazione, questa avviene entro sei giorni lavorativi. Il personale delle forze di polizia e guardie di frontiera, delle autorità competenti per l’immigrazione e dei centri di trattenimento devono ricevere un livello di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti sui modi per inoltrare le domande di protezione. In generale, l’articolo 6 stabilisce che spetti agli Stati membri fare in modo che chiunque abbia presentato una domanda di protezione abbia l’effettiva possibilità d’inoltrarla quanto prima, potendo solo esigere che sia introdotta personalmente in un luogo designato. La domanda di protezione deve comunque considerarsi presentata quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato. L’articolo 8 della direttiva impone agli Stati membri di fornire informazioni con i necessari servizi di interpretazione sulle possibilità di presentare una domanda di protezione quando vi siano indicazioni che cittadini di Paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera abbiano interesse a farlo; le organizzazioni e persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti hanno un diritto di accesso alle persone trattenute o in transito, salvo restrizioni ragionevoli e obiettivamente necessarie per la sicurezza, l’ordine pubblico o la gestione amministrativa dei valichi. L’articolo 9 della direttiva, infine, prevede che i richiedenti possano rimanere nello Stato membri fino alla decisione sulle domande di protezione;
la convenzione europea dei diritti dell’uomo vieta i trattamenti inumani e degradanti (articolo 3), riconosce il diritto a un equo processo nonché a un ricorso effettivo (articoli 6 e 13), proibisce le espulsioni collettive (protocollo 4, articolo 4);
le forze di polizia francese dai primi di giugno stanno operando o hanno richiesto la riammissione in Italia per cittadini stranieri fino al numero di centocinquanta al giorno, sulla base degli accordi di Chambery;
il legittimo dubbio presto sorto alle nostre autorità è che non fossero persone per le quali è prevista la riammissione, ma di cittadini di Paesi terzi irregolarmente soggiornanti in Francia, a volte da lunghi periodi, rintracciati anche in luoghi ben lontani dalla frontiera. In effetti, verificato che la polizia francese aveva richiesto la riammissione di persone rintracciate fino a Parigi o già titolari di permessi di soggiorno francesi venuti a scadere o comunque in possesso di documentazione che ben provava la loro lunga permanenza in Francia, la polizia di frontiera italiana ha esercitato con più meticolosità gli accertamenti consentiti dall’Accordo di Chambery. A esempio, secondo quanto riferito da dirigente della polizia di frontiera di Ventimiglia, solo il 19 scorso le autorità francesi hanno richiesto la riammissione per sessanta cittadini extracomunitari; per quaranta di essi la domanda è stata respinta in mancanza degli elementi previsti dalle disposizioni dell’Accordo;
le persone colte in questo contrasto tra polizie di frontiera – cittadini stranieri che potrebbero richiedere asilo o comunque vulnerabili, spesso minori non accompagnati – sono fermate e private della libertà personale senza notifica di alcun provvedimento da parte delle autorità francesi o italiane (il verbale di riammissione, infatti, è direttamente consegnato dalla polizia francese nelle mani di quella italiana); nell’attesa delle procedure burocratiche per la riammissione, sono rinchiuse in container;
nonostante il responsabile della polizia di frontiera francese abbia assicurato, sempre in data 19 giugno, che si tratti di normali procedure previste dall’Accordo di Schengen, l’interrogante ha potuto constatare come l’incremento nelle ultime settimane delle richieste di riammissione non sia dovuto né all’applicazione né alla sospensione del Regolamento Schengen;
non risulta a chi scrive che i cittadini di Paese terzi presenti al valico di San Ludovico dei quali la polizia francese ha chiesto la riammissione o che ha effettivamente riammesso in Italia siano stati informati della possibilità di presentare domanda di protezione internazionale o comunque delle disposizioni poste a tutela dei loro diritti fondamentali. Né è ipotizzabile che questa informativa e tutela sia stata effettivamente assicurata, dato che la procedura di riammissione avviene in maniera informale, sommaria e collettiva, senza l’esame di situazioni individuali, in assenza di qualsiasi notifica agli interessati di alcun provvedimento e senza alcuna possibilità di presentare un ricorso effettivo contro misure che limitano la libertà personale;
non risulta neppure che, a oggi, la Repubblica francese abbia attivato formalmente la procedura, che segue criteri di trasparenza e verifica di proporzionalità, di richiesta di ripristino dopo quindici giorni dei controlli delle frontiere per situazioni di «minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna» –:
quali misure il Governo intenda assumere o abbia assunto, sia nei rapporti bilaterali con la Francia e nelle istituzioni europee sia unilateralmente, per ripristinare nel più breve tempo possibile il rispetto dei diritti fondamentali e del principio di legalità, sanciti innanzitutto dalla nostra Costituzione, al valico di San Ludovico, in particolare per fornire rifugio e assistenza alle persone coinvolte nei modi stabiliti dalle varie disposizioni summenzionate per far valere il diritto a chiedere protezione;
quali soluzioni di prospettiva il Governo e le istituzioni europee stiano immaginando per evitare il ripetersi di situazioni del genere, che hanno ripercussioni gravi su centinaia di persone e mettono in crisi l’intera costruzione europea.
L’atto è disponibile presso la banca dati della Camera:
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/startpage.asp