Atto Senato 3-02130
Presentata da SERGIO LO GIUDICE
3 agosto 2015, seduta n.496
Ambito di interesse: visti di ingresso, discriminazioni
Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale – Premesso che:
l’Italia, nonostante i numerosi richiami da parte delle istituzioni europee e le pronunzie in materia della Corte costituzionale (sentenze n. 138 del 2010 e n. 170 del 2014), della Corte di cassazione (sentenza n. 4184/2012) e della Corte europea dei diritti umani (“Oliari e altri contro Italia” del 21 luglio 2015), è uno dei pochi Paesi dell’Unione europea a non aver riconosciuto legalmente le unioni fra persone dello stesso sesso né attraverso l’estensione del matrimonio civile (sul modello di Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia), né attraverso la previsione di istituti alternativi come le unioni civili (come accade, per esempio, in Germania, Croazia ed Estonia);
con la sentenza n. 4184/2012 la prima sezione civile della Corte di cassazione ha riconosciuto i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, quali titolari del diritto alla vita familiare e del diritto involabile di vivere liberamente una condizione di coppia e ne ha riconosciuto l’idoneità ad adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata;
con la sentenza del 19 gennaio 2011, n. 1328, la prima sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato che il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, attuativo della direttiva europea 2004/38/CE, in materia di esercizio del diritto alla libera circolazione del familiare di cittadino dell’Unione europea, equipara lo status di coniuge alla cittadinanza; ciò comporta che si estenda al matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto in uno degli Stati membri dell’Unione europea la liceità della presenza del cittadino straniero nel territorio italiano;
con il decreto del 13 febbraio 2012, il Tribunale di Reggio Emilia ha stabilito che, alla luce dei trattati europei e dell’art. 9 della Carta europea dei diritti fondamentali, la nozione di matrimonio prescinde dal genere dei nubendi; ne consegue che è “coniuge” a norma del decreto legislativo n. 30 del 2007 il cittadino di Paese non appartenente all’Unione europea che abbia contratto matrimonio all’estero con cittadino italiano dello stesso sesso, con conseguente diritto al rilascio del permesso di soggiorno e/o della carta di soggiorno;
con l’ordinanza del 15 gennaio 2013 il Tribunale di Pescara ha definito che la qualità di coniuge del richiedente il permesso di soggiorno attiene ad uno status come riconosciuto dallo Stato comunitario ove la coppia ha contratto matrimonio; ne consegue che è “coniuge” a norma del decreto legislativo n. 30 del 2007 il cittadino di Paese non appartenente all’Unione europea che abbia contratto matrimonio all’estero con cittadino italiano dello stesso sesso, con conseguente diritto al rilascio del permesso di soggiorno e/o della carta di soggiorno;
a seguito delle pronunzie giurisprudenziali le Questure hanno iniziato a rilasciare sul territorio nazionale permessi di soggiorno familiari di 5 anni al partner extracomunitario unito legalmente con un cittadino italiano dello stesso sesso in uno dei Paesi dell’Unione europea che ha riconosciuto legalmente le unioni fra persone dello stesso sesso;
con la circolare del 26 ottobre 2012 (prot. 8996) il Ministero dell’interno informa le Questure che il/la coniuge straniero/a (che non sia un cittadino UE) dello stesso sesso di un/una cittadino/a italiano/a o dell’Unione europea ha diritto alla carta di soggiorno come familiare, ai sensi del decreto legislativo n. 30 del 2007;
il 6 agosto 2013 il Ministero degli affari esteri ha emanato una circolare applicativa delle modifiche introdotte con decreto-legge n. 89 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 129 del 2011, in materia di libera circolazione e soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari, finalizzato al corretto recepimento della normativa dell’Unione europea (2004/38/CE), avente come oggetto l’eliminazione del visto nazionale quale condizione per l’ingresso in Italia dei familiari extracomunitari dei cittadini UE;
tale circolare prevede che gli uffici visti non dovranno più rilasciare visti di ingresso nazionali (tipo D), per motivi familiari, ai fini di un lungo soggiorno (oltre i 90 giorni) ai cittadini stranieri familiari di cittadini UE; verificato il vincolo di parentela o coniugio con il cittadino UE, è previsto il rilascio di un visto Schengen di breve durata (fino a 90 giorni, tipo C) per turismo con ingressi multipli;
la circolare estende i benefici previsti al partner che abbia contratto con il cittadino UE un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro;
il visto è un’autorizzazione concessa al cittadino straniero per l’ingresso nel territorio della Repubblica italiana o in quello degli altri Paesi Schengen, per transito o per soggiorno; la competenza al rilascio dei visti emessi dall’Italia spetta alla rappresentanza diplomatico-consolare italiana del luogo di residenza abituale o di origine dello straniero, che è la sola responsabile dell’accertamento del possesso e della valutazione dei requisiti necessari per l’ottenimento del visto;
il visto viene rilasciato a seguito della valutazione di requisiti e condizioni che in alcuni casi possono essere dettagliatamente stabiliti dalle norme, in altri casi risultano meno definiti e quindi la valutazione da parte del responsabile dell’ufficio visti diventa per molti aspetti discrezionale;
il tema del ricongiungimento familiare è strettamente connesso al diritto alla vita familiare previsto dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani e relativo anche alle coppie dello stesso sesso, come richiamato dalla sentenza della Corte di cassazione n. 4184/2012 e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, ribadito di recente anche dalla sentenza “Oliari e altri contro Italia” del 21 luglio 2015;
considerato che, per quanto risulta agli interroganti:
i coniugi D.C. (di 20 anni) e B.S. (di 23 anni), il primo cittadino italiano e il secondo cittadino peruviano, sposatisi in Argentina nell’agosto 2014, hanno avviato il 9 dicembre 2014 a Lima le pratiche per il rilascio del visto d’ingresso in Italia per motivi familiari per il signor B.S. avendo deciso di spostare il loro progetto di vita comune in Italia scegliendo di risiedere a Salerno presso l’abitazione dei genitori di D.C., disposti a fornire il necessario supporto economico per il mantenimento della giovane coppia;
nonostante la previsione dei coniugi di ricevere il visto per motivi familiari sulla stessa base interpretativa dei principi espressi dal Ministero dell’interno con la circolare del 26 ottobre 2012, un funzionario dell’ambasciata italiana a Lima ha invitato i 2 a fare una nuova richiesta per un visto di turismo della durata di 90 giorni adducendo come motivazione che «l’Italia non riconosce ancora le coppie dello stesso sesso»;
a fronte di questa risposta, considerata dai signori D.C. e B.S. errata, la famiglia di D.C. ha deciso di presentare per suo conto formale istanza di rilascio del visto per motivi familiari, negata dal responsabile dell’ufficio visti il 19 dicembre 2014 che ha rivolto l’invito a seguire le procedure per il rilascio del visto turistico;
a fronte di questo nuovo diniego i signori hanno deciso di avviare le procedure per il rilascio del visto turistico, il quale è stato poi negato il 12 febbraio 2015 con la motivazione che «le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto non sono attendibili»;
considerato altresì che:
D.C. nel frattempo ha raggiunto il signor B.S. a Lima, ove si trova attualmente, non avendo intenzione di rimanere diviso dal coniuge per lunghi periodi, giacché la separazione dal marito gli ha già provocato notevole disagio psicologico documentato da certificazione medica;
il trasferimento del signor D.C. in Perù comporta degli oggettivi disagi che si ripercuotono sul progetto di vita coniugale;
B.S. è comprovatamente convivente del signor D.C. e le condizioni di salute psicologica di quest’ultimo sono messe in pericolo dallo stress che la situazione patita ha comportato: questi aspetti fanno rientrare la coppia nella categoria di coloro per i quali sono previste forme agevolate di ingresso e soggiorno,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga che il rifiuto del visto di ingresso in Italia al coniuge di un cittadino italiano sia in evidente contrasto con la citata direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini UE e dei loro familiari, nonché con la circolare del 6 agosto 2013 del Ministero degli affari esteri;
se non creda che sia necessario rintracciare da parte dell’ambasciata italiana a Lima un’immotivata differenziazione di trattamento sulla base dell’orientamento sessuale della coppia;
se non intenda avviare contatti con l’ambasciata a Lima per facilitare il rilascio del visto per motivi familiari alla coppia;
se non ritenga opportuno e urgente diramare una circolare ministeriale che chiarisca alle ambasciate italiane nel mondo il percorso da seguire a fronte di casi come quello esposto.
L’atto è disponibile presso la banca dati della Camera:
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/startpage.asp