Atto Camera 5-06222
Presentato da CAPONE Salvatore
30 luglio 2015, seduta n. 472
Ambito di interesse: immigrazione, agricolutra, lavoro nero
CAPONE e MARIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
il 20 luglio 2015, nelle campagne salentine tra Nardò e Avetrana, in località Pittuini, mentre era intento al lavoro nei campi, un bracciante agricolo immigrato di nazionalità sudanese, Abdullah Mohammed, 47 anni, giunto in Salento solo da pochi giorni, si è accasciato al suolo, stroncato da un malore, mentre era intento al lavoro nei campi di pomodoro;
così gli organi di informazione hanno ricostruito la vicenda: «ieri mattina – lunedì 20 luglio, ndr – la colonnina di mercurio nei campi aveva superano i 40 gradi, il caldo era insopportabile. Stando agli elementi raccolti dai carabinieri della stazione di Porto Cesareo sembra che il lavoratore sudanese si sia sentito male intorno alle 14. Sarebbe stato uno dei suoi colleghi a telefonare al 118 viste le sue condizioni. Ma quando l’ambulanza è arrivata sul posto, alle 16.49, lo straniero era già morto. I colleghi lo avevano fatto appoggiare vicino a un albero, per tenerlo al riparo dal sole. Infarto è stato il responso dei sanitari, che hanno ritenuto doveroso allertare i carabinieri». E ancora: «in questi giorni la raccolta è faticosissima, il sole insopportabile. Per questo i ragazzi ieri, proprio nel campo dove è accaduto il peggio, avevano chiesto “rinforzi”. Le chiamano squadre di aiuto. Mohammed ne faceva parte ed aveva iniziato una sorta di secondo turno intorno alle 11»;
dalle prime indagini è emerso che Abdullah Mohammed, che lascia moglie e due figli, fosse in possesso di regolare permesso di soggiorno valido fino al 2019 ma non di regolare contratto di lavoro, e che la paga giornaliera fosse di circa 6 euro e 50 l’ora;
successivamente gli inquirenti hanno iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo la titolare dell’azienda agricola alle cui dipendenze si trovava il lavoratore, il marito della donna, già coinvolto nell’operazione «Sabr» sullo sfruttamento della manodopera nei campi e sul caporalato ed attualmente sotto processo, un sudanese che avrebbe svolto attività di intermediazione tra il lavoratore e l’azienda e si sarebbe occupato del loro trasporto nelle campagne;
proprio il coinvolgimento nell’operazione «Sabr» di uno degli indagati getta più di una luce inquietante su quanto accaduto rischiando di confermare – come già emerso negli anni scorsi grazie al lavoro degli inquirenti e a numerose inchieste giornalistiche – le campagne in agro di Nardò come un luogo di lavoro durissimo, sottopagato, privo delle più elementari norme di sicurezza e di tutela del lavoro. Come si legge sulla stampa in un’intervista ai volontari che prestano assistenza ai lavoratori immigrati: «È l’assenza dell’acqua (nei cosiddetti ghetti dove i lavoratori stagionali vivono, ndr) il dato più preoccupante perché questi ragazzi, dopo ore estenuanti di lavoro sotto il sole, devono andare in città percorrendo chilometri, a caricare taniche di acqua anche solo per lavarsi le mani e il viso, poi per bere. Noi forniamo assistenza sanitaria e legale, supporto umano, stiamo gestendo i contatti con Emergency, facciamo quello che possiamo ma quello che succede qui è, come ogni anno, intollerabile»;
in effetti le campagne dove è deceduto il lavoratore sudanese sono state teatro, quattro anni fa, del primo sciopero dei braccianti immigrati stagionali e dell’operazione «Sabr», (dal nome di uno dei caporali) che sfociò, il 23 maggio del 2012, in 22 ordinanze di custodia cautelare in carcere e nel processo in Corte d’Assise di Lecce. Tra gli imputati, accusati di aver trattato come bestie i lavoratori nei campi, costringendoli a turni massacranti, anche 12-13 ore di fila a raccogliere pomodori e angurie), c’era lo stesso imprenditore iscritto nel registro degli indagati martedì 22 luglio 2015 e altri sei imprenditori locali. I reati contestati a vario titolo sono: riduzione in schiavitù, associazione per delinquere, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, violenza privata, falsità materiale, favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza di lavoratori stranieri in condizioni di clandestinità;
questo stato di cose è rilevato, puntualmente, nella «indagine conoscitiva su taluni fenomeni del mercato del lavoro nero (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera)» promossa nel 2009-2010 dalla Commissione lavoro della Camera. Indagine dove tra l’altro si evince come il lavoro nero ben lungi dal rappresentare un’eccezione sia un elemento viceversa strutturato di precisi segmenti dell’economia italiana e possa essere adeguatamente contrastato solo a patto di «favorire un corretto incontro tra domanda ed offerta di lavoro straniero partendo dal dato inconfutabile che la richiesta attuale di manodopera viene considerata come non adeguatamente soddisfatta, ponendo con forza la questione relativa alle modalità di reclutamento di tale manodopera e a come regolamentarne la permanente sul territorio». D’altra parte si deve proprio a questa indagine l’introduzione nel codice penale con il decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, del reato di «Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro», articolo 603-bis che prevede per i soggetti ritenuti colpevoli – a meno che i fatti accertati non costituiscano fattispecie più gravi di reati – la reclusione da cinque a otto anni e multe pecuniarie da mille a duemila euro per ciascuno dei lavoratori reclutati;
tale grave stato di cose è assunto anche alla base del «Protocollo sulla raccolta dei prodotti stagionali nell’area nord ovest della provincia di Lecce sottoscritto da Confagricoltura, Coldiretti, Cia e Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil, teso ad introdurre meccanismi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, come tra l’altro previsto dalla determina regionale che ha introdotto le liste di prenotazione» e del «Protocollo d’intesa per la costituzione di rapporti di collaborazione interistituzionale contro l’illegalità e il lavoro sommerso» siglato a Bari il 5 agosto 2013 tra regione Puglia, prefetture di Bari, Foggia, BAT, Brindisi, Taranto, Lecce, direzione regionale Inps, direzione regionale Inail, Ministero dell’interno con l’Istituzione di un Tavolo istituzionale interforze permanente presso la prefettura di Bari «per la programmazione di mirate e sinergiche attività di controllo nei diversi settori produttivi, finalizzate a debellare i fenomeni delle assunzioni fittizie e del lavoro nero»;
purtuttavia anche in questa estate 2015, come si evince da numerosi articoli apparsi su organi di stampa nazionale e territoriale, le campagne tra Nardò ed Avetrana sono tornate ad essere luogo di lavoro migrante sfruttato e sottopagato caratterizzato da fenomeni di intermediazioni riconducibili al caporalato, condotto in condizioni palesemente inumane (addirittura senza la previsione di zone d’ombra-nei campi di raccolta) come per tempo è stato denunciato dall’organizzazione umanitaria indipendente «Medici per i diritti umani» che nei primi giorni di luglio ha fatto tappa anche a Nardò denunciando peraltro come «Il Piano regionale per contrastare il caporalato e sostenere le imprese e “Capo free ghetto off” sia rimasto in gran parte un Libro dei desideri», e con condizioni di permanenza dei lavoratori immigrati stagionali al limite dell’umano, mentre il presidio medico di Emergency – che, lo si leva en passant, è una realtà attiva quasi esclusivamente nei luoghi di conflitto estremo – quest’anno non ha ancora potuto insediarsi per tempo a Nardò a causa di problemi burocratici –:
se i Ministeri interrogati attraverso le opportune verifiche siano in possesso di dati aggiornati sullo stato dell’arte dei protocolli su menzionati e di eventuali altre intese siglate con l’obiettivo di contrastare lavoro nero, sfruttamento del lavoro, intermediazione e caporalato;
se i Ministri interrogati non ritengano di istituire, per tempo e in modo permanente, un tavolo con tutti i soggetti istituzionali sociali coinvolti perché episodi come quello del lavoratore sudanese non debbano più accadere e, in ogni caso al fine di impedire l’intermediazione di manodopera immigrata nelle condizioni in cui e solita accadere;
se anche in accordo con gli enti territoriali i Ministri interrogati non ritengano di promuovere opportune modalità di trasferimento degli immigrati nei campi di lavoro, anche con ticket a pagamento da parte degli stessi immigrati se gli oneri non sono sostenuti dagli enti pubblici, perché il circolo vizioso della relazione, con i caporali sia drasticamente interrotto;
se anche in accordo con gli enti territoriali, questi Ministri non ritengano di dover sostenere e favorire cornici istituzionali tali da garantire modalità di accoglienza e permanenza che impediscano la costituzione dei ghetti nelle campagne dove anche la ristorazione, a quanto emerge dalle ricostruzioni giornalistiche, sarebbe appannaggio degli stessi caporali;
se i Ministri non ritengano di favorire e sostenere, anche in accordo con le imprese e le istituzioni territoriali, la creazione di un marchio per i prodotti agricoli provenienti da questa come da altre aree caratterizzate da simili fenomeni distorsivi del mercato del lavoro e lesivi della dignità umana e dei più elementari diritti, tale da poter aiutare il consumatore a riconoscere nei prodotti immessi sul mercato quelli garantiti da condizioni di lavoro regolare e tutelato;
quali altre iniziative siano comunque in essere o siano in fase di attivazione.
L’atto è disponibile presso la banca dati della Camera:
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/startpage.asp