Da tempo, a ritmi serrati, è partita una nuova campagna. Si potrebbe intitolare: La vita degli “altri” è un lusso.
Sottinteso: che non ci possiamo permettere. Questo viene in mente, leggendo gli articoli pubblicati nelle ultime settimane su Il Tempo, la Padania, Libero e il Giornale, dedicati alle “spese milionarie per i clandestini mentre gli italiani fanno la fame” (Il Giornale, 9 giugno 2014).
Chi volesse dare uno sguardo può consultare la rassegna curata dall’associazione Carta di Roma: www.cartadiroma.org.
Non importa se le donne, gli uomini e i bambini che arrivano sulle nostre coste fuggono da guerre e persecuzioni. Non importa se rifiutarli (impedendo il loro arrivo), o respingerli, significa riconsegnarli a sofferenze, persecuzioni e torture, nei migliori dei casi, o a morte certa nei peggiori.
Non importa sapere che al loro posto potremmo esserci noi, come per altro è accaduto per decenni tra la fine dell’800 e la metà del ‘900 ai migranti italiani partiti per il Nord Europa o, in misura maggiore, per le Americhe, con navi molto più grandi delle barche sgangherate che varcano il Sud del Mediterraneo, ma non per questo meno pericolose. Chi voglia documentarsi sulle molte testimonianze relative ai migranti connazionali ammalati o morti in stive in cui venivano ammassate sino a più di mille persone, può leggersi gli splendidi testi di Emilio Franzina.
Non importa. Perché ormai, nel contesto di una crisi che non accenna a fermarsi, ha buon gioco chi aizza gli uni contro gli altri armati.
Il neo-liberismo degli anni ’80 ha plasmato il mito dell’individualismo e della competizione sfrenata sul mercato. L’ultimo ventennio del secolo scorso ha inventato il modello del welfare selettivo. In questo primo scorcio del terzo millennio stiamo approdando alla società dello scarto o, per riprendere un’efficace definizione di Saskia Sassen, dell’espulsione: dall’economia, dal welfare e dalla democrazia.
I diritti sono un costo e vanno “tagliati” anche se questo significa privare le persone del diritto primario: quello di esistere.
I diritti sul lavoro sono un costo. Soluzione: precarizziamo sempre più i rapporti di lavoro. Istruzione, salute e servizi sociali sono un costo. Soluzione: lasciamo che i giovani figli di proletari e sottoproletari abbandonino la scuole, il merito innanzitutto e numeri chiusi nelle università; chiudiamo gli ospedali o tagliamo i posti letto, lasciamo che dei nostri bambini e anziani si occupino le famiglie, o meglio, le collaboratrici familiari straniere spesso al nero e sottopagate.
I paesi del Sud del Mediterraneo sono devastati da dittature e/o da guerre interne (di cui spesso l’occidente è corresponsabile)? Lasciamo morire in mare, di fame o di torture le persone che cercano rifugio da noi.
Tutto si tiene, in una logica che, in mancanza di un cambiamento radicale delle politiche nazionali ed europee, è destinata a scartare o espellere un numero crescente di persone.
E non sarà certo (non lo è già) la nazionalità a proteggerci.
I demagoghi della xenofobia e del razzismo facile sono tornati ad avere fortuna. Niente di meglio che scegliere come capri espiatori quelli di sempre: i migranti, i profughi, i rifugiati e i Rom.
La propaganda propinata è doppiamente subdola e mistificante. Si diffonde l’idea che il loro rifiuto consenta di salvare i nostri studenti, disoccupati, senza casa, bambini e anziani. Dati e informazioni sulla spesa pubblica vengono manipolati facendo credere che case, asili, servizi sanitari e sociali sono prioritariamente destinati a chi proviene da altrove.
Non è con i numeri che campagne come queste possono essere contrastate, anche se qualcuno, compresi noi, ci ha provato. Ma con il recupero del valore e del significato della vita e dei diritti. Se l’homo homini lupus torna ad essere egemone, non c’è speranza: i dannati della terra sono destinati a crescere.