Gli episodi di razzismo si manifestano spesso nei luoghi più comuni, e i mezzi pubblici ne sono un esempio. Riportiamo di seguito la cronaca di un caso avvenuto a Milano, segnalatoci dalla stessa vittima: Lala Hu, blogger del Corriere della Sera. L’autrice, di origine cinese, racconta l’aggressione subita e invita alla tutela dei diritti di tutti i cittadini, anche quelli considerati stranieri seppur spesso nati e cresciuti in Italia (abbiamo raccontato alcune di queste storie di ordinaria discriminazione nel dossier ‘Ancora ospiti, ma sono cittadini).
Ci uniamo all’appello e alla denuncia della nostra concittadina, ringraziandola per la segnalazione.
Ho incontrato una signora razzista sul tram
di Lala Hu
Lo ius soli non è stato ancora approvato in Parlamento e le seconde (e ormai anche terze e quarte) generazioni devono continuamente dimostrare di essere italiani, tessuto integrante di questo Paese, di lavorare, studiare, avere una vita qui.
Milano, la città che accoglie più migranti e dove il 21% della popolazione è di origine straniera. Città aperta, cosmopolita, capitale europea. È naturale per chi è come me rispondere alla domanda “Di dove sei?”: “Di Milano”. “No, intendevo di quale Paese…”. Eppure, anche in questa città, spesso accadono episodi di razzismo, dall’ufficio pubblico, al supermercato, al tram.
Ed è proprio su un tram che ero seduta quella mattina. Il mezzo non era pieno, ma ad un tratto una signora mi ha chiesto, spintonandomi, se sapessi che “è obbligatorio lasciare il sedile alle persone anziane”. Mi sono alzata all’istante: “Prego, si sieda pure”. Non penso ciò faccia parte del regolamento ATM. Sui mezzi pubblici ci sono posti riservati alle fasce deboli, e non ero seduta su uno di questi, tuttavia per educazione, rispetto verso gli anziani, semplice cortesia, ho ceduto il posto senza neanche darci peso.
La signora non era soddisfatta però. Non si è nemmeno seduta, anzi: ha occupato il suo posto con delle borse. Ha cominciato ad insinuare che non avevo pagato il biglietto del tram (lo vuole vedere?), che non ero certo italiana (vuole vedere la mia carta d’identità?) e che lei aveva il diritto di farmi tutte le domande che voleva (è un agente dell’ordine?).
In quel momento nessuno è intervenuto. Tra gente che fissa il proprio cellulare, altri passeggeri impegnati nei propri discorsi o pensieri. Certo, di gente pazza ce n’è in giro, cosa puoi fare tu? Ho detto alla signora: “Lei non è altro che razzista”. Lei, avendo già inveito ogni possibile folle frase, ha reagito graffiandomi il braccio destro tanto da lacerarmi la pelle.
Allora la tranviera, che aveva arrestato il mezzo ad una fermata, ha lasciato il suo posto di guida e si è avvicinata. Ha affermato che era già da un po’ che ci sentiva borbottare. “Beh, ora mi ha messo le mani addosso…”. La tranviera, come esasperata dall’ennesimo episodio che avrebbe potuto bloccare il suo regolare percorso (tra auto in seconda fila o lavori sulle strade, che d’estate a Milano si moltiplicano), ha sostenuto che avremmo potuto chiudere la faccenda lì oppure chiamare la centrale operativa e fermare la circolazione del tram, bloccando l’intera linea nell’attesa dell’arrivo della polizia. La signora razzista non aspettava altro, forse un modo per ravvivare la propria giornata.
Una passeggera mi ha detto di lasciare perdere, lo stesso un signore cinese. L’unico che invece mi ha incoraggiata ad aspettare la polizia è stato un ragazzo giovane, dalla pelle bruna, forse anche lui un “nuovo” italiano a cui capitano simili attacchi, privi di senso.
Ma non ero sola. Era con me mia nipote, che si è spaventata e ha cominciato a piangere, chiedendomi di tornare a casa. Di quanta bassezza era capace la signora razzista per prendersela con una donna e una bambina? Non avrebbe certo osato inveire o graffiare un uomo robusto, che avrebbe potuto reagire diversamente da me.
Per evitare traumi alla piccola, ho deciso allora di scendere dal tram, col ragazzo che sugli scalini mi diceva ancora: “Prendi il suo nome e cognome, è un tuo diritto”.
In che direzione sta andando la società? Cosa possiamo fare per impedire che situazioni come queste accadano? Cosa possiamo fare noi seconde generazioni per proteggere i nostri figli, i nostri nipoti? Mi sarei dovuta forse rifiutare di cedere il mio posto sul tram come aveva fatto Rosa Parks negli Stati Uniti nel 1955?
In questo spiacevole episodio, emerge la necessità non di tutelare il diritto al sedile privato su un mezzo pubblico (posto il rispetto reciproco tra i passeggeri), non il diritto a importunare verbalmente e fisicamente altri passeggeri, qualsiasi siano le loro origini, ma solo il diritto di persone che sono nate e cresciute qui di condurre la propria vita di comuni cittadini alla posta, al supermercato, sul tram.