Mille e cinquecento persone morte nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno. Un raid razzista a Macerata che ha ferito sei persone, un omicidio a San Ferdinando in cui ha perso la vita Soumayla Sacko, sindacalista maliano impegnato nella lotta contro lo sfruttamento dei braccianti. Un omicidio a Firenze che ha colpito “per caso” Idy Diene, senegalese. Le diverse violenze che hanno scelto come bersaglio migranti, richiedenti asilo, rifugiati e rom delle ultime settimane. Un dibattito pubblico che è diventato sempre più violento e cattivo e non si ferma neanche di fronte alla morte di tre bambini affogati in mare e alla messa in salvo di Josepha. Ruspe e “ricognizioni” contro i rom, porti chiusi alle organizzazioni che prestano attività di primo soccorso in mare, attacchi feroci contro il sistema di accoglienza, liquidato tout court come un businness con l’unico fine di legittimarne lo smantellamento. L’ennesimo Consiglio Europeo che lascia i paesi membri divisi come e più di prima. Il partito che guida (di fatto) l’attuale governo che nei sondaggi continua a risultare in crescita e conquista amministrazioni locali storicamente di sinistra come Pisa. E un’Europa in cui il vento del nazionalismo e della xenofobia sembrano spirare sempre più forti mettendo in crisi persino la Germania.
Abbiamo avuto occasione di parlarne con l’amico Giuseppe Faso, in una conversazione informale che, in accordo con lui, sintetizziamo qui. Ex insegnante, attivista antirazzista sin dai tempi della Rete antirazzista di fine anni ‘90, autore di vari libri, tra i fondatori dell’associazione Straniamenti di Empoli, Giuseppe continua oggi a svolgere molte attività in prossimità con gli immigrati e i richiedenti asilo presenti sul territorio empolese: dall’insegnamento della lingua italiana, alla formazione degli insegnanti sino al supporto di alcune iniziative di accoglienza diffusa.
Un dialogo aperto, che ci piacerebbe coinvolgesse anche altri: abbiamo (almeno noi) bisogno di riflettere a fondo e collettivamente su quanto abbiamo fatto sino ad oggi e su come rilanciare una battaglia efficace per l’eguaglianza e contro ogni forma di razzismo.
Che cosa sta succedendo? Come siamo arrivati sin qui?
“Non ci sono, mi pare, forti discontinuità qualitative, ma un continuo peggioramento della situazione, con qualche momento di accelerazione mediatica; una svolta simile l’abbiamo osservata nel 2007, protagonisti tra i media “Repubblica”, tra i politici Amato e Veltroni. Ci sono stati addensamenti, sdoganamenti, subalternità a slogan di agenzie politiche del razzismo. Altri fenomeni della sfera economico-sociale e istituzionale hanno provocato disagi notevoli e liberato energie negative, offerto uno sbocco a proteste per situazioni e sofferenze sociali trascurate per troppi anni. Ma sarebbe a mio avviso sbagliato sottovalutare l’azione continua e poco disturbata del razzismo istituzionale e democratico, ora subalterna a un razzismo più conclamato e capace di mobilitare, attraverso i social e il loro uso insieme cinico e banale, l’odio anti-immigrato. Questa di oggi è l’aggiunta, certo non di poco peso, ma incomprensibile senza anni di disponibilità “democratica”. Certo, oggi in tanti percepiscono un cambiamento di direzione nel vento, e corrono in soccorso ai vincitori, in cambio di meschini riconoscimenti: la direzione di un quotidiano, la presidenza di un Ente di ricerca, etc. A questi livelli, il cambiamento può sembrare ancora più netto.”
Se i risultati sono questi, forse anche la società civile ha sbagliato qualcosa. Dove stanno i nostri errori e come possono essere superati?
“Di errori ne avremo fatti tanti: probabilmente una sopravvalutazione della bontà dei propri argomenti razionali, logici, civili, mentre andavano tentati altri momenti e luoghi di intermediazione civile; e soprattutto uno scarso lavoro di prossimità con gli immigrati, sia quelli presenti da tempo qui, ora per un quinto almeno cittadini italiani ma fondamentalmente trascurati dall’associazionismo e dalle forze politiche e sindacali, sia quelli giunti negli ultimi anni, richiedenti asilo e spesso abbandonati in situazioni disastrose, con gestioni a dir poco discutibili. A volte il volontariato e l’associazionismo hanno ricercato come interlocutori gestori affaristi quando non criminali; e hanno plaudito a iniziative fasulle o discriminatorie, come il lavoro coatto spacciato per adesione al volontariato. Non parliamo poi delle iniziative-vetrina, amate e promosse a “eventi” cui partecipare, dalle cene “etniche” agli innocui e costosi convegni.”
Le forze di opposizione sembrano inermi e incapaci di fermare la retorica leghista. La società civile tenta di reagire, ma è ancora molto frammentata. Nei fatti quella parte di popolazione italiana che non condivide le scelte del governo stenta a trovare un punto di riferimento. Da dove e come ripartire?
“Da mille luoghi decentrati ma con attività di efficace prossimità. Invece di ripetere che i cinesi “hanno un atteggiamento isolazionista” e si autoescludono dalla vita comunitaria, come recita a p.89 un libriccino, per altri aspetti meritorio, di larga diffusione tra gli addetti al lavoro, si potrebbero e forse dovrebbero moltiplicare le occasioni di comunicazione. Invece di dare per scontato trionfalmente che la scuola, il lavoro, e altri aspetti della nostra società sono inclusivi, si potrebbe andare a verificarne le possibilità ancora non sviluppate e i limiti. Certo, ciò esige un lavoro di massa, o almeno abbastanza diffuso, che si dovrebbe riuscire a esercitare a fianco di altre attività oggi prevalenti: il lavoro specialistico e pagato, le manifestazioni e i presidi rituali, etc.”
L’autoreferenzialità e l’eccessiva frammentazione della società civile va a vantaggio del potere. Siamo destinati ad accettarla o possiamo fare qualcosa?
“Ci sono interessi assai contrastanti, che è necessario mettere in discussione. In altre parole, bisogna giocarsi qualcosa per infrangere cornici, spinte identitarie, etc. Non si può cercare di opporsi all’appello sovranista all’ethnos senza curare la ripresa del demos.”
Cosa metteresti in agenda, al di là delle azioni e delle campagne simboliche, per tentare di invertire la rotta e per proteggere meglio i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati che sono nel nostro paese o che vorrebbero arrivarci? Su quali dimensioni e verso quali interlocutori dovrebbe articolarsi una strategia efficace e di lungo respiro? Basta l’impegno antirazzista per combattere in modo efficace il razzismo?
“Non so se basta. Smetterei anche di parlare di impegno antirazzista. Pochi giorni fa, una discussione per più aspetti sconfortante è stato il lascito dell’iniziativa “antirazzista” promossa a Firenze da Rossi e Nardella mentre si procede a nuove discriminazioni anti-rom e non si fa nulla per garantire un’accoglienza efficace ai richiedenti asilo. Sgretolare il razzismo come fenomeno sociale sarà possibile anche praticando altre forme di messa in scena del sé (e ridicolizzando tentativi come quelli praticati da chi avrebbe il potere di cercare soluzioni efficaci). Ma intanto, e sia detto senza polemica, troppi “antirazzisti” hanno individualmente da perdere se mettono in questione committenze, poteri amministrativi e gestionali, etc. Non dico che lo facciano a mente fredda, ma si tratta di vincoli preoccupanti.”
Di fronte alla enorme asimmetria di potere e di risorse, cercare di riorientare il dibattito pubblico con contronarrazioni, attività di decostruzione delle false notizie, fact-cheking richiede molto lavoro e grandi energie con un impatto limitato, per lo più confinato nella parte dell’opinione pubblica già sensibile ai diritti umani. E’ possibile secondo te sfondare questa bolla informativa e riuscire a diffondere messaggi di eguaglianza, solidarietà e lotta contro le discriminazioni raggiungendo chi non la pensa già come noi? E come?
“Credo che sia urgente smettere di “pensarla” e tentare di ricominciare a pensare, attività danneggiata dal fatto di “pensarla”. La decostruzione di bufale etc. funziona se si sono conquistati autorevolezza e credibilità in (non troppo) piccole cerchie. E poi c’è da allargare l’analisi e il contrasto su zone di “innocenza” (pronte a compiere nefandezze e delitti pur di difendersi, come ci ha insegnato Rastello): si veda l’accondiscendenza nei confronti dei nazionalismi e del linguaggio violento, quando non dei richiami espliciti, quando c’è di mezzo il calcio: come nel caso della esibita simpatia per gli inni ustascia della squadra croata.”
C’è un lavoro da fare anche sulle nostre strategie e metodologie di comunicazione?
Se sì, come diventare più efficaci senza cadere nell’eccessiva semplificazione o nel dibattito polarizzato che invece di creare dialogo tende a consolidare le reciproche posizioni di partenza?
“Bisogna comunicare soprattutto grazie a pratiche diverse, pervasive, capillari. La cortesia, la gentilezza, l’apertura, la disponibilità, l’ospitalità sono tutte forme ad alto impatto comunicativo, e sono le prime vittime di quest’attacco alle relazioni civili. A partire da pratiche di apertura, si potranno interrogare informazioni, abitudini, automatismi.”
Grazia Naletto