Sono stati trasferiti in Sardegna. Spostati come pacchi, da una parte all’altra, senza preavviso, senza un’indicazione: né sul loro presente, né sul loro futuro. Sono le persone che da Ventimiglia sono state portate in Sardegna. Alcuni di loro hanno messo in atto una protesta: ce l’ha raccontata brevemente Anna Pizzo.
Da Ventimiglia a Porto Pozzo: “siamo in trappola”
di Anna Pizzo
In sei si sono messi di traverso sulla statale che da Santa Teresa di Gallura va verso Palau e più oltre fino a Olbia. Giovani, sudanesi, disperati. Tutti trasferiti lì da Ventimiglia, dove per giorni, settimane, hanno aspettato arrampicati sugli scogli o ospitati nella parrocchia di Sant’Antonio da un parroco più umano dei suoi parrocchiani. Senza dir loro nulla, li hanno “trasferiti” in Sardegna, in un centro di accoglienza a Porto Pozzo che tra sudanesi e nigeriani è arrivato a stiparne 130. Pochi giorni prima, il 22 di giugno, in tredici sono andati a piedi da Porto Pozzo a Olbia (cinquanta chilometri) sotto un sole che non perdona e scortati dalla polizia. Quando sono arrivati, per loro niente imbarco su uno dei traghetti già affollati dai turisti, niente ospitalità, niente documenti. Verso sera se ne sono andati, ad alcuni non è rimasto che tornare al centro di accoglienza, di altri non si sa più nulla. Domenica di fronte a quei sei sdraiati di traverso sull’asfalto rovente c’erano le auto dei vacanzieri diretti a Olbia per prendere aerei o traghetti che li avrebbero riportati nei loro paesi e quelli appena sbarcati e in procinto di arrivare alle loro destinazioni balneari. “Chiamate la polizia”, dice qualcuno. “Spingeteli con le ruote dell’auto”, suggeriscono alcuni soloni del pugno di ferro.
Poi arriva il responsabile del centro. Cerca di farli desistere, chiede cosa vogliono. Andare via di qua, rispondono. Ovunque in Italia ma non qui, siamo in trappola, dicono, in qualche lingua che si fa capire. Ma per loro non c’è altra destinazione e se ci fosse loro sarebbero gli ultimi a saperlo.