Un “patto di sicurezza metropolitana” contro “accattoni molesti e petulanti”. E’ così che i sindaci di Padova, Treviso e Venezia parlano con orgoglio dell’iniziativa intrapresa da un mese nei loro comuni. Il progetto si chiama Pa.Tre.Ve, nome con il quale generalmente si intende l’area metropolitana che aggrega le tre città, questa volta unite nella lotta contro le persone che chiedono l’elemosina. “Noi ci battiamo per la sicurezza dei cittadini. Ci sono persone che arrivano da fuori e chiedono l’elemosina in modo aggressivo. Sono organizzati, viaggiano in treno da Mestre o in auto. Si piazzano nei posti migliori e nei giorni di mercato”, spiega il sindaco di Treviso Giovanni Manildo.
I sindaci leghisti, soprattutto quelli del territorio veneto, ci hanno abituati – purtroppo – a questo tipo di “iniziative”. Manildo però è di sinistra, così come lo sono i suoi due colleghi, Ivo Rossi (sindaco di Padova) e Giorgio Orsoni (sindaco di Venezia). Tre sindaci democratici nella costruzione di un unico gruppo di lavoro e di azioni congiunte, come la creazione di una banca dati condivisa per lo scambio di informazioni, che consenta di identificare se un mendicante, cacciato da un comune, si sposta nell’altro. “Compiamo un altro passo in avanti nel progetto sicurezza metropolitana” ribadisce il sindaco Giovanni Manildo. All’interno di questo “progetto”, le azioni – e le idee alla base delle stesse – pensate e volute dai sindaci sono particolarmente allarmanti: non solo invocano un foglio di via per chi chiede l’elemosina, ma addirittura lo chiedono triennale. “Si tratta in pratica di un rimpatrio – ammette lo stesso primo cittadino di Treviso – perché i mendicanti organizzati da clan o racket sono quasi tutti stranieri”. I sindaci si augurano davvero che chi – di cittadinanza non italiana – chiede l’elemosina sia rimpatriato in modo coatto? Stando alle loro parole, sì, anche se “bisogna distinguere le persone in evidente stato di bisogno e sostanzialmente innocue, da altri soggetti organizzati da strutture malavitose”, come afferma Manildo. Quindi il problema reale sembra essere lo sfruttamento delle persone e il racket che c’è dietro. Perchè allora si decide di colpire il singolo, che stando alle dichiarazioni del sindaco, si configura come una vittima?
“Noi vogliamo tutelare – conferma il sindaco di padova Ivo Rossi – le fasce deboli, come gli anziani che sono indifesi di fronte alle molestie di chi chiede soldi con troppa insistenza. Non vogliamo i professionisti dell’elemosina, anche se sappiamo che fra loro non mancano i disperati, a loro volta sfruttati”. Disperati e sfruttati non fanno parte delle fasce deboli? Visto che le amministrazioni si propongono di tutelare proprio queste fasce, che misure pensano di prendere per aiutare chi è vittima di un racket o chi senza quell’elemosina non mangia? Per ora, a quanto pare, la risposta non c’è.
Ci chiediamo se, nel lungo periodo di crisi economica che caratterizza l’Italia, uno dei più gravi problemi del Veneto sia davvero rappresentato dalle persone che chiedono l’elemosina. La risposta ce la danno i numeri, richiamati da Jenner Meletti su La Repubblica. Fino ad oggi a Treviso c’è stata una sola espulsione, due a Padova. Le persone che invece potrebbero essere interessate dall’iniziativa dei sindaci, ossia quelle più volte fermate dalle forze dell’ordine, sarebbero “30 a Treviso, 60 a Padova e qualcuno in più a Venezia”: lo dichiara l’assessore alla sicurezza di Treviso Roberto Grigoletto, che prosegue: “c’è una romena che è stata multata 60 volte e si presenta ancora qui. Un romeno ne ha 42”. Due casi. Può darsi che ce ne siano di più, ma c’è da dire che la scelta fatta dai tre sindaci non viene affiancata dalla presentazione di un’analisi, di uno studio o approfondimento, ma solo da queste parole.
E, mentre da una parte i sindaci si schierano contro chi chiede l’elemosina, dall’altra donano 800 euro – sequestrati in questi mesi ai mendicanti – alla Caritas di Treviso. Che avverte, con le parole del direttore don Davide Schiavon: “La lotta all’illegalità è giusta, ma non risolve il problema vero della povertà. Senza una profonda conoscenza del territorio, è difficile distinguere i veri poveri dai furbetti. E magari si colpisce chi è davvero nel bisogno”. Nel dubbio, ad ogni modo, la Caritas prende e ringrazia.
I sindaci democratici veneti non sono soli.
E’ recente la misura presa a Firenze contro, anche qui, i “mendicanti molesti”. Nel capoluogo toscano, il Comitato provinciale per l’ordine pubblico ha annunciato pattugliamenti all’interno della stazione di Santa Maria Novella e nei dintorni. Come specificato nel testo diffuso dalla prefettura di Firenze, le persone che verranno messe sotto stretto controllo non sono protagonisti di reati. Il prefetto Varratta specifica: “Non è un problema di sicurezza, ma di accattonaggio molesto. Vogliamo che la stazione torni ad essere un fiore all’occhiello”. Come dire: le persone che chiedono l’elemosina non sono un bello spettacolo: cacciamoli (per il testo ufficiale e un’analisi di Lorenzo Guadagnucci clicca qui).
Siamo davvero arrivati a questo punto? La risposta è sì, e da tempo.
Sono anni che sentiamo parlare di “tolleranza zero” e di “ordine e sicurezza”, in una guerra non alla povertà, ma ai poveri.
Laddove la politica non riesce (o forse non vuole) a migliorare le cose, ecco che si staglia contro chi questo malessere lo rende visibile, lo esterna nelle strade e nelle piazze. I Patti della sicurezza introdotti nel maggio 2007 dall’allora ministro dell’interno Giuliano Amato “hanno aperto la strada alla trasformazione del sindaco da ‘rappresentante dei cittadini’ a ‘tutore della sicurezza urbana‘, ruolo che ricorda molto quello dei podestà di antica memoria. La caccia ai lavavetri, ai writers e ai parcheggiatori abusivi, estesasi nell’estate 2008 ai mendicanti, ai senza tetto, ai turisti che osano mangiare un panino in strada, ai venditori di giornali ambulanti, ai commercianti che allestiscono vetrine al di fuori dell’orario consentito, ai cittadini minori di 65 anni (!) che osano sedersi a leggere su una panchina in un parco, è stata lanciata da parte di un assessore del capoluogo della ‘rossa’ toscana”’. Lo scriveva Grazia Naletto nel volume Sicurezza di chi?, edito dalle Edizioni dell’asino nel 2008.
Se l’acuirsi della crisi ha temporaneamente distratto gli amministratori locali dalle loro velleità sicuritarie, ispirando delibere discriminatorie nell’ambito del welfare, oggi vi sono numerosi segnali che annunciano il ritorno dei “sindaci podestà“. La crisi è ancora presente, i problemi non sono stati affrontati e si sono acuiti, le risorse continuano a ridursi e allora niente di meglio che prendersela con i “mendicanti”.
“Se vi fossero soggetti organizzati, politici e sindacali, capaci di suggerire il nome giusto da dare alla crisi economica, al disagio sociale, alla precarietà, all’impoverimento” probabilmente assisteremmo a “forme di conflitto sociale e di protesta politica”, scriveva Anna Maria Rivera nel Rapporto sul razzismo in Italia, edito da Manifestolibri nel 2009. Visto che questi soggetti non ci sono, o non hanno la capacità e la forza di denunciare i problemi reali per quello che sono, nasce un “circolo vizioso, ]..] che si alimenta di campagne sicuritarie e razziste” con la “tendenza a subordinare il dibattito pubblico anche politico ai fatti di cronaca, e a costruire emergenze al fine di conquistare il consenso popolare e i voti dell’elettorato. Istituzioni, partiti politici, governi traggono profitto dalle campagne allarmistiche per varare provvedimenti discriminitori e /o liberticidi”.
A proposito di consenso popolare e voti dell’elettorato, tra il 15 aprile e il 15 giugno si terranno in diversi comuni veneti le elezioni amministrative. Casualità?