Oggi si chiude l“Emergenza Nord Africa”. O meglio, si chiude il programma di accoglienza così chiamato, destinato alle persone arrivate in Italia a seguito della cosiddetta “Primavera araba”. Ma la situazione di criticità, quella continua. Una situazione che poteva essere gestita in modo tale da abbandonare, finalmente, l’approccio emergenziale. Anche in questa fase conclusiva, che invece, paradossalmente, rischia di creare un’ulteriore, drammatica emergenza.
Il 18 febbraio scorso, con una circolare, il Ministero dell’Interno ha stabilito le regole per la fine del programma di accoglienza.
Alla base, una scelta precisa: nessuna proroga del programma oltre il 28 febbraio.
Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, ha sollecitato l’attivazione dei Tavoli di coordinamento territoriale, “per facilitare il passaggio all’ordinaria gestione”. Un passaggio che forse poteva essere realizzato in maniera graduale, monitorando anche il lavoro dei centri di accoglienza e delle cooperative, a cui sono stati elargiti un miliardo e trecento milioni di euro, 46 euro al giorno per ogni persona ospitata. Il lavoro di controllo, invece, lo sta facendo ora la Procura di Rieti, che indaga sull’utilizzo di questi stanziamenti, vista anche la situazione precaria di alcune strutture, denunciata da diversi reportage.
La circolare tratta poi la questione dei titoli di viaggio, ribadendo che i documenti sostitutivi del passaporto possono essere rilasciati dalle Questure “solo dopo che l’interessato abbia provato di essere nell’impossibilità di ottenere un passaporto dalle autorità del Paesi di appartenenza”.
Per quanto riguarda la sorte delle persone interessate fino ad oggi dal programma di accoglienza -circa diciottomila persone – , la circolare non prevede alcuna misura di inserimento lavorativo o abitativo: il Ministero indica “misure per favorire percorsi di uscita”, laddove per uscita non si intende né dalla situazione di emergenza, né dai percorsi di accoglienza. Ci si riferisce, invece, all’uscita dall’Italia, con i “programmi di rimpatrio volontari e assistiti”. Al riguardo, la proposta del governo è un “gettone” di 500 euro rilasciato ai cittadini stranieri contemporaneamente all’abbandono delle strutture.
La decisione del governo si scontra con le associazioni, i sindacati, le realtà di movimento che si occupano di immigrazione: tutte chiedono la proroga del piano di accoglienza, e soprattutto la messa in atto di reali misure di inserimento lavorativo e sociale.
Ieri Flavio Zanonato, sindaco di Padova e delegato Anci all’immigrazione, durante il tavolo tra autonomie locali e governo ha denunciato il fatto che in realtà l’emergenza verrà scaricata sui Comuni, che si ritroveranno ad affrontare da soli e senza fondi l’assistenza di circa 13mila persone – tante sarebbero secondo l’Anci le persone ancora presenti nelle strutture di circa 200 Comuni.
“Noi – ha affermato Zanonato – chiediamo che venga affrontata con risorse la situazione dei soggetti vulnerabili; di affrontare la questione di chi non ha ancora ricevuto il permesso di soggiorno; e che vengano date garanzie sull’erogazione dei 500 euro”. L’Anci ha dunque proposto da una parte la proroga del piano, dall’altra il potenziamento del sistema di accoglienza Sprar, con l’aumento dei posti dai circa 3.700 attuali a 5mila, utilizzando quindi gli utili strumenti che già sono a disposizione, invece di appaltare a cooperative.
Lo stesso Zanonato ha specificato ieri di aver ricevuto dal Viminale, durante il Tavolo, “risposte rassicuranti, che attendono comunque conferma attraverso atti ufficiali’’.
Di diverso avviso l’Arci, che ha partecipato alla riunione del Tavolo Tavolo di coordinamento nazionale sull’emergenza Nord Africa (ENA) che si è svolta ieri, secondo la quale le risposte fornite dal Ministero dell’Interno sono state generiche e parziali. L’associazione, ha deciso dunque di continuare “a fornire i servizi stabiliti dalle convenzioni agli ospiti del sistema Ena che alla data del primo marzo, conclusi i tentativi di concordare l’uscita con il contributo dei 500 euro, si troveranno all’interno dei centri. Non è infatti compito dei soggetti gestori” prosegue l’Arci nel comunicato stampa diffuso oggi “l’allontanamento o il trasferimento dei profughi dalle strutture, ma anzi associazioni come l’Arci sono tenute, ai sensi del proprio Statuto, a garantirne in ogni caso il rispetto dei diritti umani e la sicurezza sociale.”
Nel frattempo, a Bologna, l’applicazione della circolare è stata già sospesa, su richiesta della Prefettura: “La Prefettura, adducendo responsabilità romane, ci ha detto di non avere a disposizione i fondi per erogare la buonuscita ai migranti e ci ha chiesto di procrastinare l’assistenza fino al momento dell’erogazione”, ha spiegato infatti la Croce Rossa che gestisce il centro di Capara.
Nel frattempo Melting Pot ha lanciato un appello per costruire una mobilitazione nazionale con i rifugiati: una proposta di mobilitazione permanente per chiedere una degna accoglienza.