Dopo la miseria portano le malattie. Ecco il titolo della prima pagina di Libero del 6 settembre. E’ il modo in cui il giornale sceglie di dare la notizia della morte di una bambina in Trentino, morte causata dalla malaria. Gli accertamenti sono ancora in corso, ma per il quotidiano il decesso passa in secondo piano, e ancora di più la comprensione di quanto successo. Libero non “perde tempo” in analisi (il direttore Feltri lo considera una sciocca perdita di tempo, come evidenziato nell’articolo “Reagire con violenza”). Piuttosto, mette insieme, sotto al titolo, una serie di asserzioni: Immigrati affetti da morbi letali diffondono infezioni. Basta che una zanzara punga prima un malato e poi uno sano e quest’ultimo muore. Il governo se ne disinteressa e insiste con l’accoglienza. Ritornano così due temi sbandierati da alcuni mass media, in compagnia di diversi rappresentanti politici: salute e accoglienza. ‘Sbandierate’ è qui un termine corretto: perché tali connessioni non poggiano su dati e fonti verificate. Muovono le basi dal macrotema ‘immigrati’, e servono a contrapporre questi ultimi agli italiani, a generare diffidenza, paura e odio. A questi due temi se ne aggiunge un terzo, tornato alla ribalta in questi giorni a causa dei drammatici fatti di cronaca di Rimini: è quello della violenza, in particolare contro le donne. Libero non si fa sfuggire l’occasione di utilizzare anche questo argomento: subito dopo le asserzioni di cui sopra, scrive, senza alcun nesso logico con le affermazioni precedenti: I verbali dello stupro di Rimini: violenza oltre ogni immaginazione e doppia penetrazione.
Ci sarebbe da scrivere un saggio di analisi del testo, su questa prima pagina di Libero che coniuga il razzismo a un disgustoso voyerismo di stampo machista – cosa che scriviamo anche alla luce dei quotidiani articoli che palesano la propensione fallocratica del giornale (a titolo esemplificativo, solo oggi si legge in prima pagina “Involuzione del costume sessuale. Alle donne non basta avere un uomo solo”, e online un articolo su ipotetiche “maestre del sesso orale”, mentre ricordiamo due dei titoli maggiormente criticati, sulla sindaca di Roma Virginia Raggi e sulla spadista vincitrice dell’argento alle olimpiadi del 2016).
Ma non possiamo concentrarci solo sulla prima di Libero, in merito alla quale così si esprime Carta di Roma, annunciando un esposto all’Ordine dei giornalisti: “Ci sarebbe da ridere se il problema non fosse serissimo: un organo d’informazione, attraverso la falsificazione della realtà, getta un altro po’ di concime nel terreno, purtroppo già fertilissimo, dove germoglia il discorso d’odio. Qua non siamo in presenza soltanto di una violazione della Carta di Roma, ma della norma su cui si fonda l’intera deontologia dei giornalisti. Nell’attesa ci permettiamo di rivolgere al collega Nicola Marini, presidente dell’ordine nazionale dei giornalisti, una domanda: questo modo di procedere è compatibile con la nostra professione?”.
Purtroppo Libero si trova in buona compagnia. Sono diversi i giornali italiani che su notizie di cronaca tracciano iperboli e mistificazioni connesse alla presenza degli immigrati, unendo anche tematiche del tutto disgiunte tra loro, con il risultato di creare allarmismo, diffidenza, falsa conoscenza.
Succede con la salute così come con la violenza, con il terrorismo come con la questione abitativa: e non c’è nemmeno uno sforzo di innovazione, lo schema è già ampiamente utilizzato. Evidentemente, funziona. E non solo sui giornali. Il mondo politico non è da meno: “La Lega incolpa i migranti: Portano loro le malattie” (Corriere della Sera); “La Lega: colpa dei migranti” (La Stampa).
Del resto, lo straniero come untore è un paradigma già rodato, nonostante sia privo di fondamento. Lo abbiamo visto in passato, in relazione a presunti casi di scabbia e tbc, sui quali medici ed esperti avevano invece invitato a evitare strumentalizzazioni (Riportiamo qui l’articolo Come sfatare il mito dei migranti che portano malattie, pubblicato su Open Migration nel 2016). Per altro ne abbiamo parlato molto anche noi nel periodo in cui la connessione immigrato-allarme sanitario era particolarmente cavalcata (ricordiamo solo alcuni articoli: Se l’immigrato diventa l’untore; Immigrati e malattie: miti da sfatare; Basta allarmismi, nessuna emergenza sanitaria; Scabbia, varicella, tbc: l’allarme che non c’è).
Lo stesso schema narrativo viene utilizzato in questi giorni anche in relazione alle violenze commesse a Rimini, dando vita a una spirale di odio preoccupante. I social network rimandano l’immagine di una società sempre più violenta: sono moltissimi i commenti di persone – soprattutto uomini – che, mentre condannano la violenza perpetrata, la auspicano, in egual misura, per altre donne (è quanto viene scritto nei confronti della Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha denunciato gli insulti che le sono stati indirizzati, anche da parte di alcuni esponenti leghisti (qui e qui) . Ma lo stesso accade, ad esempio, a diverse giornaliste che si occupano di immigrazione.
La notizia vera passa in secondo piano e l’attenzione viene riorientata su un elemento che sarebbe di per sé secondario. A essere condannata non è la violenza di un essere umano contro un altro, bensì il fatto che a compierla siano dei giovani non-italiani. Del resto, la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani lo aveva messo nero su bianco pochi mesi fa quando aveva affermato: “La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese”.
E’ la nazionalità degli aggressori a preoccupare, a quanto pare, diversi politici e giornalisti, ma anche molte persone che commentano la notizia sui social. “La contrapposizione autoctoni/neri nei discorsi – dei maschi – sullo stupro di Rimini è davvero lo svelamento finale del livello di sessismo strisciante e di maschilismo violento del paese in cui viviamo, forse sopito ma mai veramente cambiato, che nell’epoca della caduta delle inibizioni sociali rialza la sua testa orrenda”, scrive la giornalista Marina Petrillo sul proprio profilo Facebook.
E fa specie che sia un’altra donna, la capogruppo di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, a chiedere conto del silenzio della Presidente della Camera Boldrini sui “vermi magrebini” e a legare la violenza sessuale al “multiculturalismo”. Come se in Italia non ci fosse un problema di disparità – economica, sociale, politica, lavorativa – di genere. Come se gli uomini italiani non fossero, anche loro molto, troppo spesso, aggressori delle donne, di frequente al riparo delle mura domestiche.
Nel frattempo, Forza Nuova è libera di riproporre un manifesto della Repubblica fascista di Salò, raffigurante una donna bianca e indifesa aggredita da un corpulento uomo nero.
La rilevanza nazionale che assume la vicenda va di pari passo con la stigmatizzazione di tutti gli immigrati: del resto la concentrazione dell’attenzione sulla nazionalità degli aggressori anziché sulla gravità della violenza subita dalle vittime è purtroppo un dejà vu. Ricordiamo a mero titolo esemplificativo le reazioni ai fatti del capodanno 2015-2016 di Colonia (ad esempio, si veda l’allora prima pagina di Panorama, ma anche il titolo de Il Giornale “Il 90% dei migranti è maschio: si rischia il terrorismo sessuale”); e, andando ancora più indietro nel tempo, la presunta violenza (poi smentita) ai danni di una minorenne a Torino (qui l’intera ricostruzione). O ancora, la drammatica aggressione compiuta a Roma nel 2009 nel Parco della Caffarella, e di nuovo, purtroppo, quello che viene ricordato come “il caso Reggiani” del 2007 (per l’analisi di entrambi i casi, rimandiamo alle schede, scaricabili qui, del primo Rapporto sul razzismo in Italia, curato da Lunaria e edito da ManifestoLibri nel 2009): violenze salite alla ribalta del dibattito nazionale come punta di diamante della propaganda anti-straniero.
Tornando all’oggi, è ancora una volta Libero a distinguersi per la strumentalizzazione: “Il branco dello ius soli”, titola il 3 settembre parlando degli stupri commessi a Rimini. Esatto: Libero collega la drammatica violenza subita da due donne a Rimini alla riforma di legge sostenuta da più di 200mila italiani e italiane con le loro firme, e che è ancora attesa da più di un milione di persone, italiane di fatto ma non riconosciute come tali dallo Stato. Lo fa anche Il Giornale (“Le belve cresciute qui. Il branco dello ius soli e il pericolo della cittadinanza facile”, scrive Alessandro Sallusti). L’obiettivo è chiaro: usare politicamente una notizia di cronaca nera per stigmatizzare un intero gruppo e da qui “dimostrare” che la riforma della legge sulla cittadinanza deve ammuffire nell’Aula del Senato.
Le generalizzazioni e le stigmatizzazioni sono ormai il pane quotidiano che alimenta vere e proprie campagne di odio e di disinformazione: lo stesso succede, ormai ciclicamente, quando si verifica un attacco terrorista. Lo abbiamo visto, anche in questo caso, con “Bastardi islamici” con cui il 14 novembre 2016 Belpietro commentava la strage nel teatro Bataclan di Parigi, ma anche con quel “Gentiloni premia i terroristi: cittadinanza a tutti”, titolo di copertina scelto da Libero il 20 agosto 2017, dopo l’attentato di Barcellona.
Titoli che accompagnano e rispecchiano le tante dichiarazioni che ad ogni attentato non attendono neanche un minuto, non si pongono neanche per un momento il problema di rispettare le vittime e il dolore dei loro familiari. No, l’importante è evocare subito il blocco degli arrivi dei migranti: una connessione, quella tra terrorismo e migrazioni, riproposta più volte, tanto che addirittura l’Onu lo scorso anno è intervenuto spiegando che “il legame tra l’arrivo di rifugiati e il rischio terrorismo è analiticamente e statisticamente infondato”.
La fondatezza però non sembra più essere un parametro da seguire: quello che conta è chi urla più forte e alla pancia delle persone.
Serena Chiodo