La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), organismo del Consiglio d’Europa, rende note, in un rapporto, le conclusioni sull’attuazione di una serie di raccomandazioni formulate, nel 2012, all’interno dei report nazionali su Islanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo e Montenegro. Come parte integrante del lavoro di monitoraggio generale dell’ECRI, si tratta di un nuovo processo di follow-up intermedio, introdotto per verificare, a due anni dalla pubblicazione di ogni rapporto, che cosa è stato fatto, in relazione alle raccomandazioni prioritarie suggerite a ciascun Paese, quali sono i progressi, ma anche per sottolineare ciò che non è stato concretizzato.
Sulla base della risposta fornita da ciascun governo interpellato, e sulla base delle informazioni raccolte da altre fonti, l’Ecri ha elaborato le sue conclusioni sul modo in cui le sue raccomandazioni sono state seguite. Queste conclusioni riguardano solo le raccomandazioni prioritarie, e non forniscono un’analisi completa del Paese in questione.
In particolare, per quel che riguarda l’Italia, in materia di razzismo e discriminazioni, c’è ancora molta strada da percorrere. A cominciare dal potenziamento dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali). “L’Unar – denuncia il Consiglio d’Europa – non rispetta i principi di indipendenza degli equality bodies”, cioè degli organismi incaricati di assistere le vittime di discriminazioni e di promuovere l’uguaglianza. Quindi, oltre a rendersi, prima di tutto, un’authority indipendente (perché ancora parte integrante della Presidenza del Consiglio dei Ministri), l’Unar avrebbe dovuto, inoltre, ampliare concretamente il suo raggio d’azione estendendolo a tutti i casi di discriminazione, come quelli basati sulla religione, il genere o l’orientamento sessuale, che a tutt’oggi sono ancora in una fase di limbo giuridico/legislativo.
Inoltre, l’Unar attualmente può soltanto esprimere pareri e non rappresentare in giudizio le vittime di discriminazione o avviare cause, cosa che comporta un enorme limite d’azione.
L’Ecri, nel 2012, aveva anche chiesto all’Italia di tutelare maggiormente i cittadini rom e di assicurare loro piena protezione, nel rispetto delle garanzie della legge internazionale in materia. Ad oggi, si confermano alcuni piccoli passi in avanti, dopo la dichiarazione, nel novembre 2011, del superamento della cosiddetta “emergenza nomadi”, dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato. Tuttavia, l’attuazione concreta di una strategia nazionale d’integrazione stenta ancora a decollare. Mentre, rileva l’Ecri, continuano ancora numerosi gli sgomberi, senza le necessarie garanzie e senza che siano rese disponibili delle sistemazioni alternative.
Il terzo punto di richiamo, nelle considerazioni dell’ Ecri, riguarda l’accesso dei profughi alle procedure d’asilo. Nonostante qualche parziale miglioramento, l’Ecri rileva ancora troppi respingimenti sbrigativi alla frontiera, basati su accordi bilaterali che, molto spesso, non consentono ai migranti di essere informati della possibilità di presentare domanda di protezione internazionale. Inoltre, entro Luglio 2015, l’Italia deve recepire le più recenti direttive europee in materia di protezione internazionale. Questa riforma, sottolinea l’Ecri, può costituire l’occasione definitiva per codificare, in un testo unico, tutte le attuali disposizioni sull’asilo, che oggi risultano ancora divise in atti legislativi locali, che rendono l’applicazione delle norme piuttosto farraginosa e poco chiara.
L’Ecri sollecita l’Italia, quindi, a migliorare ancora i contenuti e le azioni di queste tre raccomandazioni, che sino ad oggi hanno trovato una risposta parziale, in vista del prossimo report nazionale.
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