Si è svolto ieri il webinar “Antisemitismo e odio online. Il complottismo al tempo di internet” organizzato dall’UNAR in collaborazione con Milena Santerini, Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e i delegati IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) per l’Italia. Un panel che ha visto l’alternarsi di ben dieci relatori provenienti da diversi ambiti e campi disciplinari con lo scopo di avere una visione ricca e più eterogenea possibile dell’antisemitismo nel 2020.
L’evento, trasmesso in diretta sul sito e sulla pagina Facebook dell’UNAR e moderato dal giornalista Stefano Pasta, è stato pensato, come affermato in apertura dal direttore UNAR Loukarelis, al fine di realizzare e preparare al meglio l’imminente strategia nazionale contro l’antisemitismo. La conferenza ha fornito infatti interessanti analisi e spunti di riflessione circa l’antisemitismo odierno che trova, purtroppo, nella rete internet un solido alleato. L’antisemitismo, si è sempre nutrito, anche nel passato, di teorie complottiste e cospirazioniste che identificavano gli ebrei come il gruppo da colpire e da odiare. Ne va da sé che i social network e il web più in generale favoriscano oggigiorno la diffusione di questa mentalità cospiratoria, data la facilità con cui, attraverso questi mezzi è possibile diffondere informazioni, anche non veritiere basate su antiche leggende false e pregiudizi radicati. La dottoressa Milena Santerini ha infatti affermato come “il complottismo e la mentalità cospiratoria abbiano trovato nuovo ossigeno nella globalizzazione […] le persone davanti eventi più grandi di loro ricorrono a semplificazioni.” Falsi e antichi miti che oggi trovano nuove vie e immagini di rappresentazione, dalla figura dell’”happy merchant” (ebreo rappresentato come sgradevole, che si sfrega avidamente le mani. Sul web diversi sono i “meme” che vedono questo personaggio con alle spalle, ad esempio, l’attentato delle Torri Gemelle o il muro che separa USA e Messico) fino all’”accusa del sangue” (gli ebrei in passato sono stati accusati di rapire bambini e di usarne il sangue per riti religiosi, ad oggi questa teoria è alla base del movimento di QAnon che sta acquisendo sempre più adepti in tutto il mondo, Italia compresa.). Il cospirazionismo e l’antisemitismo sono due facce della stessa medaglia e nel mondo contemporaneo dominato da internet queste assurde e artificiose teorie hanno purtroppo una estrema facilità di diffusione. Non a caso il professore Andre Oboler, tra i relatori dell’evento e CEO di Online Hate Prevention Institute, ha coniato nel 2008 l’espressione “Antisemitismo 2.0” con la quale indicava 12 anni fa la normalizzazione dell’antisemitismo online con il rischio del suo sconfinamento offline. Oboler parla di una “cultura online che rendeva l’antisemitismo socialmente accettabile che ha abbassato la nostra resistenza all’hate speech antisemita, fornendo così possibilità alle reti di odio di crescere e attirare le persone.” L’Antisemitismo 2.0 ha trovato nuova linfa vitale anche nel 2020, con la pandemia provocata dal Corona Virus. Circola in rete la teoria di un complotto che vedrebbe come responsabili, ancora una volta, gli ebrei i quali trarrebbero ampio profitto dalla vendita dei vaccini che servirebbero anche ad iniettare nelle persone dei microchip. Una teoria che si nutre di falsi pregiudizi, come quello dei Savi di Sion, il cui obiettivo sarebbe quello di controllare il mondo e di impadronirsene. Secondo Juliane Wetzel, ricercatrice del Centre for Research on Antisemitism di Berlino, un’altra narrazione complottistica vedrebbe Israele come creatore del virus, che sarebbe stato creato in un laboratorio di armi biologiche. Questa è la dimostrazione di come l’antisemitismo è capace di mutare nel tempo modellandosi e adattandosi all’attualità in base a pregiudizi del passato e a false immagini antiche.
Per arginare e contrastare la diffusione dell’antisemitismo online è fondamentale una collaborazione da parte dei gestori dei Social Network. A tal proposito è intervenuta Jordana Cutler, Responsabile delle Politiche Pubbliche per Facebook Israele e la Diaspora Ebraica. Diversi sono gli strumenti utilizzati in questo senso. Da circa un anno e mezzo è stato intensificato il lavoro di esperti di antisemitismo, provenienti da diversi settori e paesi del mondo, i quali si riuniscono periodicamente in tavole rotonde per discutere e ragionare insieme sulle misure da adottare per contrastare la violenza online contro gli ebrei. Ad esempio, da ottobre sono stati banditi dalla piattaforma Facebook i cosiddetti “negazionisti dell’Olacausto”, ovvero coloro che negano che ci sia stato uno sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. La dottoressa Cutler ha anche sottolineato l’importanza della denuncia da parte degli utenti che si imbattono in contenuti di questo tipo su Facebook. Le segnalazioni sono infatti determinanti per far scomparire dalla piattaforma, utenti, gruppi e pagine negazioniste o comunque discriminatorie nei confronti degli ebrei ed ha aggiunto: “ovviamente togliere le cose dalla piattaforma non fa sparire l’antisemitismo da internet, dobbiamo lavorare nell’istruzione delle persone per combattere l’antisemitismo nel mondo e usare quindi le piattaforme come strumento di istruzione.”
I social network devono dunque essere utilizzati come strumenti di educazione e, proprio per questo, Facebook sta collaborando con diverse organizzazioni nel mondo, ad esempio i centri della memoria, affinché gli utenti della piattaforma possano accedere, attraverso la lente di ricerca del social, in pagine che parlino e descrivano in maniera veritiera e giusta l’Olocausto. In chiusura del webinar è intervenuto l’avvocato Roberto De Vita, presidente dell’Osservatorio Cyber Security dell’Istituto di ricerca Eurispes.
De Vita ha parlato di come l’hatespeech online, a differenza di quello offline, possa più facilmente permanere nel tempo e diffondersi con una capacità di penetrazione che non ha precedenti. Ha poi aggiunto: “Gli influencer dell’odio spesso utilizzano il cosiddetto hate speech soft, quello che normalmente riesce a volare al di sotto dei radar dell’intelligenza artificiale, degli algoritmi che riescono a bloccare determinati concetti e che molto spesso utilizzano allusioni o meccanismi mimetici per veicolare il proprio pensiero.” È importante bloccare e fermare le attività di proselitismo online, perché il pericolo che possano sfociare poi in azioni concrete nella vita reale è alto. De Vita ha infatti citato alcuni attentati recenti sia di matrice islamista, che di estrema destra, evidenziando come questi siano stati la conseguenza di attività organizzate e coordinate di hatespeech online. L’hatespeech in rete e sui social network può essere precursore di azioni violente.
Appare dunque evidente la necessità di adottare misure efficaci, attraverso un piano d’azione coordinato tra esperti di diversi settori, che possano contrastare questi fenomeni online prima che si manifestino dannose conseguenze anche nella realtà.
Un webinar, questo organizzato dall’UNAR, che ha offerto la possibilità di riflettere sia sulle nuove forme di antisemitismo, che purtroppo sembra autorigenerarsi periodicamente, sia sulla pericolosità che il mondo online può nascondere, se non sottoposto ad adeguati e rigidi sistemi di controllo. È possibile recuperare la diretta del webinar (disponibile in italiano e inglese) sulla pagina Facebook dell’Unar.
Qui il link https://www.facebook.com/norazzismi
Veronica Iesuè