Bene ha fatto l’ex Direttore dell’Unar Francesco Spano a presentare le proprie dimissioni a seguito del servizio diffuso dalla trasmissione Le Iene su Italia1. E’ probabilmente il modo migliore per porre fine a un dibattito pubblico strumentale e distorto.
Il servizio di circa 12 minuti accusava l’Unar e il suo direttore di aver indebitamente finanziato attraverso un bando pubblico (con 55mila euro) e per interessi personali un’associazione nelle cui sedi si svolgono attività sessuali a pagamento, associazione di cui il direttore sarebbe socio.
Le eventuali responsabilità del Direttore saranno accertate dalle autorità di competenza. Qui è opportuno soffermarsi su ciò che è accaduto dopo la diffusione del servizio giornalistico.
1. Diversi esponenti politici, hanno chiesto l’immediata chiusura dell’ufficio. Evitiamo di citarli qui, basta leggere le agenzie e alcuni dei siti dei principali quotidiani.
L’assurdità e la portata propagandistica della richiesta sono palesi.
L’Unar è stato istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215. Il decreto ha recepito la direttiva comunitaria n. 2000/43 che all’art.13 prevede che “negli stati membri siano istituiti uno o più organismi per la promozione della parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica.”
Tutti gli stati comunitari sono tenuti ad avere un ufficio con queste funzioni. E, almeno finché a qualcuno non verrà in mente di modificarlo, l’art.3 della nostra Costituzione sancisce il principio di uguaglianza e di non discriminazione, principio che per l’appunto l’Unar è chiamato a garantire svolgendo le sue funzioni.
2. E’ indubbio che se quanto denunciato nel servizio televisivo venisse accertato, la procedura di selezione dei progetti risulterebbe deficitaria delle caratteristiche utili a verificare il possesso dei requisiti necessari da parte degli enti partecipanti.
Se una procedura è inadeguata va cambiata o integrata, non soppressa. Lo stesso vale per il conflitto di interessi: se fosse accertato riguarderebbe la persona coinvolta, non certo la legittimità delle funzioni dell’ufficio di appartenenza.
3. Il servizio giornalistico in oggetto ha sicuramente le caratteristiche dello scoop: e l’obiettivo è stato indubbiamente raggiunto. Ci permettiamo però di osservare che l’informazione fornita (con modalità assai discutibili dal punto di vista deontologico) è stata come minimo incompleta. Ha prevalso il sensazionalismo.
Non è stata fornita alcuna informazione sull’insieme delle attività e delle funzioni svolte dall’ufficio dal 2003 ad oggi. Non è stata detta una parola sui progetti e le attività svolte dalle altre associazioni registrate presso l’ufficio (circa 400). Non è stato spiegato che l’iscrizione al registro non comporta affatto automaticamente l’attribuzione di fondi pubblici.
In diversi passaggi del servizio si fa riferimento a “centinaia di migliaia di euro”, a “soldi dei contribuenti” assegnati dall’ufficio ad associazioni che lottano contro le discriminazioni.
Se fosse vero, forse il razzismo sarebbe un po’ meno diffuso e normalizzato nel nostro paese. Peccato che le risorse gestite dall’Ufficio provengano in realtà in gran parte da risorse comunitarie. In ogni caso il bando in questione ha portato in totale all’assegnazione di 1 milione di euro suddiviso tra 35 progetti diversi che in vari casi coinvolgono più associazioni.
4. Stabilire un nesso tra questa vicenda e la necessità di portare avanti i programmi di spending review (è successo almeno nel corso di una trasmissione televisiva) è un paradosso. Tutto si può dire, ma non che il nostro paese si distingua per investimenti pubblici destinati alla lotta contro le discriminazioni e il razzismo. Tant’è che le diverse “strategie nazionali” elaborate sino ad oggi sono rimaste in gran parte sulla carta proprio perché non sono state accompagnate da un piano di copertura finanziaria.
Del resto non potrebbe essere diversamente visto che i tagli alla spesa pubblica hanno sempre privilegiato le politiche sociali.
5. In conclusione: se ci sono dubbi sulla procedura seguita per selezionare i progetti di cui sopra l’assegnazione va sospesa (l’Unar ha peraltro specificato che ha già provveduto alla sospensione in autotutela del bando di assegnazione oggetto del servizio giornalistico e che le risorse assegnate non sono ancora state erogate).
Se ci sono state responsabilità amministrative o penali del Direttore o dello staff dell’Unar lo deciderà chi di competenza.
Ma che si utilizzi strumentalmente da parte dei soliti noti questa vicenda per alimentare l’ondata di xenofobia e di razzismo che spira già da troppo tempo nel nostro paese, è inaccettabile.
Il tema di attualità è semmai un altro: quello di garantire il corretto e pieno svolgimento delle funzioni dell’ufficio contro le discriminazioni accrescendone l’autonomia e l’indipendenza dal potere esecutivo. Lo chiedono da sempre gli organismi internazionali e le associazioni antirazziste. Solo in questo modo sarà libero di contrastare alcune delle forme di discriminazione e di razzismo più intollerabili: quelle istituzionali.