La scuola elementare Lombardo-Radice di via Paravia a Milano nell’anno scolastico 2012-2013, così come è avvenuto quest’anno, non avrà la prima classe. Perché? Perché su 18 iscritti 16 sono alunni di origine straniera ma, in base alla circolare Gelmini dell’8 gennaio 2010, il numero di alunni stranieri per classe non può superare il 30%. La circolare è ancora in vigore e sino ad oggi il Governo “tecnico” non è intervenuto a modificarla.
Né è sufficiente a rendere più “ragionevoli” le indicazioni della circolare citata il fatto che dal computo della percentuale massima di bambini stranieri che possono essere presenti in una classe sia stato escluso il numero di bambini nati in Italia. Gran parte dei pre-iscritti alla Lombardo Radice sono infatti nati qui e ciononostante l’ufficio scolastico provinciale ha ritenuto di non autorizzare la formazione della classe. Risultato: i bambini dovranno iscriversi in un’altra scuola più lontana dalle loro abitazioni con conseguenti disagi per loro e per le loro famiglie.
Situazioni simili a quelle della scuola Lombardo-Radice in Italia ce ne sono moltissime e non potrebbe essere diversamente: le famiglie straniere stabilmente residenti nel nostro paese sono ormai moltissime così come aumenta il numero di bambini nati in Italia da genitori stranieri. Se, come sembra accadere soprattutto in alcune grandi città, vi sono quartieri nei quali tende a concentrarsi l’insediamento della presenza straniera, è inevitabile che ciò determini anche una maggiore presenza degli alunni stranieri nelle scuole.
La crisi economica e sociale che sta peggiorando la vita quotidiana della maggior parte di noi sembra essere stata trasformata in un capro espiatorio per giustificare l’immobilismo del Governo in qualsiasi ambito che non sia considerato “prioritario” ai fini del riordino dei conti pubblici.
Sarebbe invece una scelta relativamente semplice da effettuare (che non richiede l’intervento del legislatore) emanare una circolare che annulli quel tetto discriminatorio del 30% che non protegge nessuno ma, al contrario, complica la vita di moltissimi bambini stranieri, delle loro famiglie e anche dei dirigenti scolastici oltre a imporre un modello sociale fortemente identitario e discriminatorio.