Smarrimento, disorientamento e necessità di una riflessione collettiva condivisa, capace di leggere in profondità con categorie e strumenti nuovi l’orrore di questi giorni per fare informazione e controinformazione, praticare e diffondere una cultura di pace e contro il razzismo nel modo più capillare possibile.
Questa in sintesi l’esigenza emersa nel corso dell’assemblea che si è svolta il 17 novembre a Roma a partire dal lancio dell’appello che abbiamo pubblicato qui.
Un’assemblea molto partecipata, oltre le previsioni, che ha dato la possibilità a chiunque abbia desiderato farlo di prendere la parola, per fornire alcune chiavi di lettura di quanto sta accadendo e proporre possibili pratiche quotidiane di pace, di solidarietà, di lotta contro il razzismo.
Gli attentati del 13 novembre a Parigi e il dolore per la morte di 129 persone, molte delle quali giovanissime, hanno segnato una cesura dirompente che rischia di causare, le sta già causando, conseguenze pesantissime sulla vita di noi tutti. Se lo “stato di eccezione“, la proclamazione di uno stato di emergenza, la giustificazione del ricorso alle armi, l’aumento della presenza dei militari nelle nostre città, la retorica dello scontro di civiltà, la stigmatizzazione indifferenziata e totale delle persone di fede musulmana o originarie di paesi in cui questa è prevalente, la torsione sicuritaria e la restrizione degli spazi di libertà e democrazia diventano “normali”, la nostra vita non potrà essere quella di prima. E la paura rischia di mettere sotto vetro la nostra libertà, il terrore di generare altro terrore, in una spirale senza fine.
Tutto ciò può giovare ai mercanti di armi, agli imprenditori di guerra, a chi dalla deflagrazione dei conflitti in Medio-Oriente e nell’Africa Orientale trae profitti intrisi di sangue e a coloro che, privi di altri argomenti, reclamano le bombe niente affatto intelligenti in Siria e la chiusura ermetica dell’Europa Fortezza, utilizzando cinicamente l’incertezza e lo smarrimento diffusi nell’opinione pubblica. Che ne derivi maggiore sicurezza per noi, cittadini comuni, è perlomeno discutibile.
Se questo è il contesto, è indubbia l’esigenza di ribaltare completamente lo schema di lettura proposto in questi giorni dalla gran parte del mondo della politica e dai mass-media.
Il no alle guerre (dichiarate e non) diventa più forte se si ricorda il fallimento di tutti gli interventi militari promossi nell’ultimo ventennio a partire dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Libia.
Se si denuncia l’assenza o l’inconsistenza dell’azione delle istituzioni internazionali.
Se si disvela il ruolo chiave svolto dagli Stati Uniti nel rafforzamento di IS e non si dimentica che l’unico movimento che lo combatte davvero, quello dei kurdi di Kobane, non ha goduto certo di un sostegno similare.
Una controinformazione efficace può essere condotta solo se si mettono in comune le informazioni, i documenti e gli strumenti di comunicazione prodotti dal ricco ma frammentato universo pacifista e antirazzista. Essa dovrebbe volgere lo sguardo in profondità anche ai sistemi di inclusione/esclusione dei migranti disegnati nelle città europee e alle forme che oggi assumono i processi di socializzazione e di definizione identitaria che coinvolgono i giovani figli dell’immigrazione, cittadini o meno del paese di residenza.
La lente del conflitto tra Occidente e Oriente, del sistema di diseguaglianze tra paesi ricchi e poveri e, all’interno dei singoli paesi, tra autoctoni e non, tra centri e periferie, tra classi abbienti e non, che pure mantiene una sua rilevanza centrale, non sembra sufficiente a spiegare perché alcune migliaia di giovanissimi scelgono IS e il suo orrore mettendo a rischio la propria vita in azioni di distruzione e di morte. C’è un di più che va indagato se è vero che molti di loro hanno un livello di istruzione elevato e non provengono necessariamente da famiglie disagiate come è avvenuto invece, sembra, nel caso di Parigi.
Un cantiere aperto di riflessione e di mobilitazione può forse contribuire a frenare questa deriva con un impegno che, è bene saperlo, non è possibile dare per scontato.
L’assemblea del 17 novembre alcuni spunti di lavoro del tutto preliminari li ha dati. Dalla proposta di organizzare iniziative di informazione e di sensibilizzazione nelle piazze delle periferie urbane (Gazebo di pace), nelle scuole e nelle università, alla programmazione di momenti di approfondimento dedicati all’analisi della situazione dei paesi in conflitto, alla divulgazione di materiali sul commercio e l’esportazione di armamenti e sulla spesa militare, alla costituzione di gruppi di giuristi che analizzino e denuncino le eventuali violazioni dei diritti civili discendenti dalla proclamazione dello stato di eccezione.
Fondamentale, si è detto, la collaborazione con le persone e le diverse comunità musulmane presenti in Italia per abbattere anche nell’ambito dell’attivismo e della mobilitazione antirazzista i muri di troppo che ancora rimangono. Soprattutto per liberare gli avvenimenti di questi giorni dalla madre delle mistificazioni: l’identificazione indiscriminata dei fedeli di religione musulmana come potenziali terroristi. Una collaborazione preziosa anche per ricondurre gli operatori dei media ad una maggiore correttezza nel fare informazione.
Ultimo, ma non certo in ordine di importanza, il messaggio che vede nell’impegno nell’accoglienza dei migranti anziché nella costruzione di nuovi muri, una delle strategie migliori per evitare di alimentare quel rancore che può contribuire ad alimentare il consenso alle azioni terroristiche. L’Europa certo non sembra per ora andare nella direzione giusta se è vero che una selezione vera e propria sulla base del paese di origine è praticata in queste ore alle frontiere della Slovenia, della Serbia e della Macedonia, come raccontiamo qui.
Il cantiere è aperto a chiunque volesse farne parte, avanzare suggerimenti, dare un contributo in qualsiasi forma o semplicemente mettere in rete ciò che già sta facendo sul proprio territorio.
Si può scrivere qui: stopguerreeterrore@gmail.com
Nel frattempo alcune manifestazioni già programmate saranno attraversate dal no al terrore, alla paura, alle guerre e al razzismo. A partire dalla manifestazione organizzata dalla Fiom il 21 novembre a Roma e dalla Marcia italiana sul clima, programmata in vista del Cop21 di Parigi, in programma sabato 29 novembre sempre a Roma.