215.377 tweet, rilevati tra marzo e maggio 2019, considerando 76 termini sensibili. 151.783 i tweet negativi. Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano, ha presentato nei giorni scorsi, la quarta edizione della Mappa dell’Intolleranza. Una rilevazione, oramai consolidata, che consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate “sensibili” e mira a identificare le zone “più calde” in Italia, dove l’intolleranza è maggiormente diffusa.
La prima fase del lavoro di ricerca ha riguardato l’identificazione dei diritti, il mancato rispetto dei quali incide pesantemente sul tessuto connettivo sociale: questa fase è stata seguita dal Dipartimento di Diritto Pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano. La seconda fase si è concentrata, invece, sull’elaborazione di una serie di parole “sensibili”, correlate con l’emozione che si vuole analizzare e la loro contestualizzazione: questo lavoro è stato svolto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma, specializzati nello studio dell’identità di genere e nell’indagare i sentimenti collettivi che si esprimono in rete. Nella terza fase, si è svolta la mappatura vera e propria dei tweet, grazie a un software progettato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Bari, una piattaforma di Social Network Analytics & Sentiment Analysis, che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per comprendere la semantica del testo e individuare ed estrarre i contenuti richiesti. I dati raccolti sono stati poi analizzati ed elaborati da un punto di vista psico-sociale dal team di psicologi. Infine, l’analisi dei risultati da un punto di vista sociologico, effettuata dal team di ItsTime, Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies, centro di ricerca che fa capo al Dipartimento di Sociologia dell’università Cattolica di Milano. Quest’anno, è stato aggiunto poi un ulteriore fattore di analisi: il “livello di aggressività”. Il software è stato dunque “istruito” per estrarre i tweet più aggressivi, evidenziandone il livello di virulenza: la valutazione è stata orientata dalle categorie utilizzate dalla scala MOAS (Modified Overt Aggression Scale). In questa sua prima forma sperimentale, si è dimostrato utile, per meglio comprendere non solo la negatività, gli atteggiamenti intolleranti e discriminanti, ma anche l’orientamento aggressivo di questi messaggi.
I tweet sono stati geolocalizzati, dando come risultato le ormai note cartine termografiche dell’Italia. Le aree prive di intensità termografiche non indicano assenza di tweet discriminatori, ma luoghi che mostrano una percentuale più bassa di tweet negativi rispetto alla media nazionale. Quanto alla loro distribuzione geografica, la concentrazione è soprattutto nelle grandi città. Una novità preoccupante riguarda gli haters: l’odiatore non è più l’anonimo leone da tastiera. Oggi si fa riconoscere, perché non si sente più solo, ma legittimato. I bersagli dell’offesa, invece, sono sempre gli stessi.
La rilevazione 4.0 mette in evidenza alcune caratteristiche peculiari, secondo 6 gruppi bersaglio: donne, omosessuali, migranti, diversamente abili, ebrei e musulmani.
Innanzitutto, nella classifica dell’intolleranza, svetta la combinazione migranti/ musulmani/ ebrei. L’odio contro i migranti registra un più 15,1% rispetto allo scorso anno e sul totale dei tweet che hanno ad oggetto i migranti, quelli di odio sono ben il 66,7%. Sul totale dei tweet negativi, inoltre, quelli contro i migranti sono circa il 32%: vale a dire che un hater su tre si scatena contro “lo straniero”. L’intolleranza contro gli ebrei, di fatto quasi inesistente fino al 2018, quest’anno registra un più 6,4%. Mentre l’intolleranza contro i musulmani registra un netto aumento (+6,9%) e resta alta e si lega soprattutto alla percezione di eventi internazionali.
La Mappa mostra, al di là delle semplici percentuali, anche alcune evidenze assai significative del clima che si respira nel Paese. La prima evidenza riguarda l’impatto che il linguaggio e le narrative della politica hanno sulla diffusione e la viralizzazione dei discorsi d’odio (vedi i picchi in coincidenza e correlazione con la campagna elettorale per le Europee). La conseguenza più allarmante è che oggi sembrerebbe bastare – dicono i ricercatori – un tweet del ministro dell’Interno per chiudere i porti italiani alle navi trasportanti richiedenti protezione, potenzialmente titolari di un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione: il diritto d’asilo (art. 10, comma 3 Cost.). Analizzando e confrontando i picchi di aggressività contro migranti, ebrei e musulmani con i post dei politici, questa evidenza è ancora più forte. Uno studio in corso con Amnesty International (che grazie al progetto Barometro dell’odio sta analizzando i profili dei politici su Facebook) comparerà i risultati di tale rilevazione con quelli registrati dalla Mappa 4.0. La seconda evidenza riguarda il ruolo dei social media, ormai corsia preferenziale di incitamento all’intolleranza e al disprezzo nei confronti di gruppi minoritari o socialmente più deboli.
Di fronte a tale scenario, appare evidente come sia necessario agire su più fronti: una qualche forma di auto-regolamentazione da parte dei social appare più che urgente (noi ne abbiamo parlato qui). Un secondo fronte, fondamentale, è la prevenzione. Per questo, nel 2018 e nell’anno in corso, Vox Diritti ha intensificato i suoi progetti nelle scuole, per “educare” i ragazzi al linguaggio dell’inclusione, anche per combattere fenomeni di cyberbullismo. Il risultato è la campagna #Ispeakhuman, lanciata a inizio maggio su Facebook e Instagram, i cui contenuti, video, gif, post, sono stati pensati e realizzati dai ragazzi del Liceo Bottoni di Milano e dell’Università Cattolica. La campagna ha registrato un enorme successo, più di 200mila visualizzazioni, a conferma della necessità di creare contro-narrazioni efficaci per combattere i discorsi d’odio.