“L’unico modo per evitare lo smantellamento di Schengen è assicurare un controllo serio dei confini esterni dell’UE”. Lo ha affermato il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, in una nota diffusa ieri e indirizzata ai capi di governo dei paesi membri dell’UE, convocati il prossimo 12 novembre. Diversi stati membri dell’Unione stanno costruendo muri e barriere, aumentando i controlli delle forze militari nazionali alle frontiere, o bloccando l’ingresso di treni nel proprio territorio: tutte misure intraprese contro l’arrivo dei migranti, e conseguentemente lesive del diritto a cercare protezione. “Se vogliamo evitare il peggio, dobbiamo rendere più rapide le nostre azioni”, ha dichiarato Tusk. Ma chi, vedendo le immagini dei bambini infreddoliti bloccati ai confini orientali dell’Europa, delle persone che affrontano viaggi disperati e pericolosi prive di qualsiasi assistenza, o dei poliziotti ungheresi che manganellano persone inermi, pensa che il peggio stia già avvenendo ogni giorno, dovrà ricredersi: Tusk non si sta infatti riferendo ad azioni volte finalmente a garantire ingressi sicuri e una giusta e umana accoglienza. Secondo il presidente del Consiglio Ue il peggio è in realtà rappresentato dall’eventualità che le azioni intraprese da alcuni stati mettano a rischio il sistema Schengen: è per evitare questa possibilità che Tusk chiede ancora una volta di “valutare lo stato di attivazione delle misure decise finora”, con specifico riferimento alla “cooperazione con i paesi terzi, in particolare la Turchia, per fermare il flusso di migranti”; alla “implementazione delle decisioni sulle ricollocazioni”; alla “attivazione degli hotspot in Grecia e in Italia” e alla “discussione su come effettivamente rinforzare il controllo delle frontiere esterne”. Gli stessi punti sui cui la Commissione europea ha messo l’accento nella nota diffusa ieri sullo “stato dei lavori a proposito delle misure per affrontare la crisi dei rifugiati”, in cui ha ripercorso quelle che sono, con sempre maggior evidenza, le priorità europee.
Promesse finanziarie
Stando ai dati diffusi, sono 9.2 miliardi di euro i fondi messi a disposizione per il 2015 e il 2016 dalla Commissione europea per quella che viene definita “la crisi dei rifugiati”. A questi andrebbero ad aggiungersi le somme che ogni stato membro dovrebbe stanziare, stando a quanto dichiarato dai capi di governo durante il Consiglio europeo dello scorso 15 ottobre. Anche se, nonostante le promesse, alcuni stati devono in realtà ancora mettersi in linea con le somme dovute all’Unhcr, al World Food Programme, al fondo europeo per la Siria e al fondo europeo di emergenza per l’Africa.
(Qui i dati dettagliati con le tabelle di riferimento)
Schema di ricollocazione
La ricollocazione di 160.000 persone, che verranno trasferite da Grecia e Italia verso altri paesi europei, è state confermata durante gli ultimi Consigli europei. Ma la Commissione sollecita gli stati membri a inviare esperti nazionali nei vari hotspot presenti nei due paesi di invio, e a specificare da una parte le effettive capacità di ricezione, dall’altra i referenti nazionali che coordineranno le ricollocazioni.
(qui i dati dettagliati paese per paese, con le tabelle di riferimento).
Hotspot
A proposito di queste strutture, pensate per identificare i migranti e dividerli tra chi sarebbe in diritto di chiedere protezione e chi no, la Commissione si limita a specificare che all’interno opereranno i “Migration Management Support Teams”, squadre composte dai funzionari di Frontex e Easo, per il cui lavoro la Commissione chiede uno sforzo di “coordinamento e cooperazione tra le autorità dei vari paesi membri e le agenzie europee”. Nessuna specifica, ancora una volta, sui criteri di funzionamento di queste strutture. Ne vengono però definite la collocazione e la capienza: per i dettagli si rimanda alla tabella qui sotto, ma una panoramica generale permette di notare che la capienza si aggira negli hot-spot in Italia intorno ai 300 posti (500 per l’hotspot di Lampedusa). In Grecia varia maggiormente: si va dai 110 posti dell’hotspot di Chios, a 250 in quello di Samos, per arrivare agli oltre 700 di Lesvos. Numeri troppo grandi che, come insegnano i grandi centri finora previsti in Europa per la prima accoglienza delle persone, non rappresentano affatto le strutture adeguate per garantire la tutela dei diritti umani e il rispetto della dignità.
Rimpatri
Mentre non sono ancora chiare le modalità di trattenimento dei migranti negli hotspot, né su quali principi le persone verranno divise tra richiedenti asilo e non, la Commissione mette nero su bianco che il ruolo centrale dei Migration Management Support Teams presenti all’interno degli hotspot è assicurare i rimpatri. E, nonostante dei “passi concreti” siano stati già fatti in tal senso – come evidenziano i dati riportati qui sotto, in base ai quali tra settembre e ottobre 2015 sono state deportate 153 persone solo dall’Italia, e 569 persone in operazioni che hanno coinvolto più paesi insieme all’agenzia Frontex-, la Commissione sollecita i paesi membri a mettere in atto, con tutte le risorse utili, il piano di azione sui rimpatri approvato lo scorso ottobre.
Supporto agli stati che richiedono l’intervento del Meccanismo europeo di Protezione Civile
La Commissione ha aumentato il fondo previsto per questa misura europea, che deve essere richiesta dagli stati membri in casi particolari di crisi e bisogno, e può consistere nell’invio di esperti, strutture, forniture mediche e altri beni non alimentari. Alla domanda dovrebbe seguire l’attivazione di tutti gli stati membri in risposta ai bisogni identificati. Al momento, Serbia, Slovenia e Croazia hanno chiesto questo tipo di supporto: ma la risposta degli stati europei è ancora debole e parziale.
Qui uno schema che riassume gli aiuti