32mila profughi in due anni: è questo l’accordo a cui sono giunti ieri a Bruxelles i ministri degli interni dei paesi membri dell’Unione Europea, dopo cinque mesi di trattative. In due anni, 32mila persone già arrivate in Italia e in Grecia verranno distribuite in tutto il territorio europeo.
Un accordo al ribasso, è stato definito dai maggiori quotidiani nazionali. Al ribasso del ribasso, verrebbe da dire. Perché la cifra di partenza, che da mesi circola nei comunicati e negli incontri istituzionali – ossia la distribuzione di 40mila profughi – è già minima rispetto alle necessità reali. E il numero concordato ieri dai ministri degli interni, 32mila persone, è addirittura inferiore. La settimana scorsa in Lussemburgo durante il Consiglio informale Ue dei ministri dell’interno i rappresentanti europei avevano parlato della distribuzione di 60mila richiedenti asilo nel territorio europeo, 40mila ‘relocations‘ da Italia e Grecia e 20mila ‘resettlements‘ dai campi profughi fuori dall’Ue. Ma i dubbi persistevano, tanto che il commissario europeo per l’immigrazione Dimitri Avramopoulos ammetteva: “non ci siamo ancora” (info qui). Dubbi fondati, evidentemente.
“Abbiamo trovato un accordo per coprire il primo anno”, ha dichiarato il ministro degli Esteri e dell’Immigrazione del Lussemburgo, e presidente di turno dell’Unione, Jean Asselborn, specificando che “i Ventotto hanno promesso di ricollocare un primo gruppo di 32.256 rifugiati”, provenienti da Italia e Grecia, che dal canto loro dovranno impegnarsi a identificare i migranti che arrivano sul loro territorio. La distribuzione non si basa su un principio di obbligatorietà, ma sulla volontà dei singoli paesi: che appunto hanno presentato delle promesse, annotate in una risoluzione giuridicamente vincolante. Italia e Grecia non prenderanno parte alla distribuzione perché il piano mira proprio ad alleggerire la posizione dei due paesi. Anche Austria e Ungheria hanno deciso di defilarsi, spiegando che, a fronte degli arrivi di persone che provano a raggiungere l’Europa passando dall’est, si considerano nella stessa situazione dei due stati esentati. Gran Bretagna e Danimarca si sono opposti all’accoglienza avvalendosi della clausola di ‘opting out’ dei trattati Ue. L’Irlanda, che pure poteva utilizzarla, ha invece acconsentito all’ingresso di seicento rifugiati. La Spagna ha promesso che accoglierà 1.300 persone, contro le circa 4mila che aveva chiesto la Commissione. La Polonia accoglierà 1.100 persone, mentre oltre un terzo dei rifugiati andrà in Germania (10.500 persone) e Francia (6.752).
Il numero indicato inizialmente per i ‘resettlements‘, ossia per il reinsediamento di persone che al momento si trovano in campi profughi fuori dal territorio dell’Unione, è invece stato rispettato. I ministri hanno deciso per la distribuzione di 22.504 persone. Solo l’Ungheria – che sta costruendo un muro al confine con la Serbia per evitare l’ingresso dei migranti – ha imposto il suo rifiuto all’accoglienza. L’Italia ha dato la disponibilità per 1.989 profughi, la Grecia per 354. 1600 persone andranno in Germania, 2.375 in Francia, 2.200 nel Regno Unito, 1.900 in Austria, 1.449 in Spagna, 519 nei Paesi Bassi e 1.000 in Danimarca. Daranno il loro contributo anche Paesi che non fanno parte dell’Ue come Svizzera (519), Islanda 850, Liechtenstein (20 persone), e la Norvegia, che accoglierà 3.500 rifugiati. Le persone da trasferire saranno individuate all’interno degli hotspot, che verranno organizzati in paesi come la Turchia (che al momento ospita più di un milione di profughi), il Libano e la Giordania, oltre che nei primi paesi di ingresso dell’Unione, come l’Italia. Per questo funzionari di Frontex saranno presenti ad aiutare le autorità nelle procedure di identificazione.
E’ un piano decisamente lontano esigenze effettive: dall’inizio del 2015 sono arrivate in Europa, solo via mare, più di 150.000 persone. Di queste, 74.009 sono state registrate in Italia, e 75.970 in Grecia (dati Oim). A questi numeri si devono aggiungere quelli di coloro che viaggiano con altri mezzi, ad esempio passando dai paesi balcanici, una rotta percorsa nel 2014 da 21mila migranti (dati Amnesty International, info qui e qui).
Alcuni quotidiani nazionali definiscono l’accordo un primo passo verso il cambiamento: in effetti è la prima volta che in Europa si definisce la ricollocazione dei rifugiati in tutto il territorio. Il Sole24ore parla di “un primo tassello alla riforma del Principio di Dublino”. Ma guardando i numeri messi in campo dai paesi dell’Unione non si può parlare di una risposta adeguata alla situazione, né di una mossa risolutiva. Osservatori esteri parlano piuttosto di come “gli stati europei non abbiano raggiunto i target previsti” (https://euobserver.com/justice/129715, http://uk.reuters.com/article/2015/07/20/uk-europe-migrants-idUKKCN0PU18M20150720). Persino il commissario Avramopoulos si è detto “deluso dai numeri”. Anche Asselbom ha ammesso che “basare la solidarietà europea sulla volontarietà ha chiaramente mostrato i suoi limiti”. Gianni Pittella, presidente del gruppo S&D all’europarlamento, ha definito l’accordo “ridicolo, siamo alla farsa”.
Le prime ricollocazioni cominceranno a ottobre, dopo il parere dell’Europarlamento atteso per settembre. La burocrazia istituzionale segue i suoi lenti ritmi. L’emergenza vera, quella delle persone che fuggono dai paesi in guerra e dalle violenze, ha però altri tempi, ben più pressanti. A cui l’Europa non sembra voler rispondere.
Qui il comunicato ufficiale: http://www.statewatch.org/news/2015/jul/eu-council-jha-council-20-7-15-background.pdf