Un nuovo rapporto di Medici senza frontiere (Msf), dal titolo ‘Traumi ignorati’, realizzato con dati raccolti in vari Centri di accoglienza straordinaria (Cas) – di Roma, Trapani, Ragusa e Milano – tra luglio 2015 e febbraio 2016, lancia l’allarme sul problema del disagio mentale associato all’esperienza migratoria. Un fenomeno “sempre più preoccupante e gravemente sottovalutato”. E le condizioni di accoglienza in Italia non aiutano, anzi a volte creano un peggioramento. “Il 60% dei soggetti intervistati nell’ambito delle attività di supporto psicologico di MSF tra il 2014 e il 2015 presentava sintomi di disagio mentale connesso a eventi traumatici subiti prima o durante il percorso migratorio”, spiega Silvia Mancini, esperta di salute pubblica per MSF e curatrice dell’analisi. “Inoltre, i richiedenti asilo si ritrovano a stare per periodi molto lunghi in strutture che sono spesso in zone particolarmente isolate, dove rimangono a lungo, a causa dei tempi legati all’attesa dell’esito della procedura di asilo. Questa condizione genera profondo stress e sofferenza, che si somma all’esilio in una terra sconosciuta e alla mancanza di prospettive”. In particolare, tra i 199 pazienti direttamente presi in carico nei Cas di Ragusa, il 42% presentava disturbi compatibili con il disordine da stress post traumatico (PTSD), seguito dal 27% affetto da disturbi dovuti all’ansia. Le probabilità di avere disagi psicopatologici è risultata di 3,7 volte superiore tra gli individui che avevano subito eventi traumatici. Sulla base dell’analisi dei bisogni e dei servizi esistenti, Msf, che da anni fornisce supporto medico e psicologico nelle strutture di prima e seconda accoglienza in Italia, chiede alle autorità italiane ed europee di adottare “un modello di accoglienza che prenda in carico i bisogni specifici legati alla salute mentale per questa popolazione particolarmente vulnerabile”. Il rapporto mostra poi come tra i fenomeni aggravanti del disagio mentale, ci siano “le condizioni di particolare precarietà vissuta all’interno di strutture di accoglienza”. L’87% dei pazienti ha infatti dichiarato di soffrire delle difficoltà di vita nei centri. I CAS, istituiti nel 2014 come misura temporanea e straordinaria al fine di far fronte agli arrivi crescenti, con il tempo sono diventati parte integrante del sistema ordinario di accoglienza, cristallizzando in questo modo un approccio emergenziale, poco orientato a favorire progetti di lungo termine e di inclusione nei territori.
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