Il razzismo, la xenofobia e perfino il neofascismo sono cosa da poco, piccoli “errori” che possono tranquillamente attraversare la vita di chi pretende di rappresentare il Bel Paese. Sono insomma reati accettabili, non sufficientemente gravi per macchiare il curriculum di un Parlamentare, italiano o europeo che sia. E’ questo il messaggio che ci trasmette l’emendamento approvato dalla Commissione antimafia al testo che intende modificare il Codice che regola la presentazione delle candidature con l’intento enunciato di “ostacolare le candidature impresentabili”.
Chi ha intenzione di candidarsi nel prossimo futuro, non deve preoccuparsi: può discriminare come e quanto vuole, lanciare offese razziste al primo che capita o magari compiere anche un’aggressione razzista per strada. Le pene eventualmente riportate non impediranno di fare carriera politica.
La Commissione antimafia ha infatti introdotto il principio del cumulo delle pene in base al quale non possono candidarsi alle elezioni persone che abbiano subìto condanne per un complesso di quattro anni di pena. Ma ci sono, evidentemente, reati che sono considerati meno gravi di altri e tra questi la discriminazione, l’incitamento alla discriminazione, la propaganda razzista (art.604-bis del codice penale) e i reati ordinari compiuti con un movente razzista per i quali il codice penale (art. 604-ter) prevede l’aggravante della pena.
L’emendamento approvato mercoledì, su proposta di un senatore grillino e di un deputato leghista, prevede che dal computo del “cumulo” siano escluse le condanne riportate per questo tipo di reati (oltre che per diffamazione).
Continuerà dunque a potersi candidare chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e “chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Non solo. Potranno continuare a candidarsi coloro che hanno fatto parte di organizzazioni, associazioni o gruppi che abbiano tra i propri scopi “l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Hanno già potuto farlo sino ad oggi, si dirà.
Sì, ma data la pretesa “etica” della riforma in discussione, le eccezioni previste nell’emendamento in questione hanno un forte valore simbolico, a maggior ragione in un periodo come questo, in cui le offese e le botte razziste colpiscono con una particolare frequenza.
Il testo della riforma deve essere approvato dalle due Camere e dunque c’è ancora tempo per ripensarci.