Nell’ultimo periodo, quando si parla di immigrazione si fa molto riferimento alla matematica: quote, numeri, cifre, percentuali, e via dicendo. Troppo spesso, dimenticando che in tutto questo si ha a che fare con persone, esseri umani in carne ed ossa. Ed è cosi, che ad ogni sbarco si succedono numeri su numeri, complicati conteggi che si aggiungono a cifre preesistenti. La cosa più terribile è che la stessa operazione viene fatta nel caso di naufragi. E anche l’ultimo tragico naufragio di un gommone avvenuto nella mattinata del 23 luglio, davanti alle coste libiche, porta con sé un bel fardello di numeri in libertà.
Ecco che la stampa riporta: “I numeri oscillano fra le 30 e le 50 possibili vittime, fra le quali almeno 5-7 minori”. I superstiti del naufragio, una ottantina in tutto, sono stati raccolti da una nave mercantile, prima di essere affidati alla nave militare tedesca Holstein, che li ha poi condotti nel porto di Augusta. Secondo le prime testimonianze, i profughi sarebbero partiti da Tripoli e viaggiavano su tre diversi gommoni, uno dei quali si è sgonfiato, iniziando ad imbarcare acqua. A bordo c’erano circa 120 persone. Alle operazioni di salvataggio hanno partecipato tre motovedette della Guardia costiera, un mercantile panamense ed un rimorchiatore inquadrato nell’operazione Triton. Tra i 283 migranti sbarcati ad Augusta (dai tre gommoni), vi sono profughi provenienti da Somalia, Eritrea, Benin e Mali. E non si sa ancora dove saranno trasferiti.
Tuttavia, sempre parlando di numeri, il capo della Procura di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, tiene a precisare che in realtà si potrebbe trattare “soltanto” di “una dozzina di morti”: “Erano in corso le operazioni di trasbordo dalla carretta del mare alla nave tedesca: 88 stranieri sono stati tratti in salvo, il resto è finito in mare nel disperato tentativo di salire sul mezzo navale. E’ probabile che possa essere stata una disgrazia, comunque un episodio accidentale, ma va verificato. Questo non esclude che possa profilarsi una ipotesi di omicidio colposo”. Ora, finito il balletto dei numeri, senza pensare ai numerosi corpi che il Mediterraneo ci deve ancora restituire, sembra non ci sia tempo per piangere l’ennesima tragedia del mare, ma comincia subito la discussione sulla valutazione della competenza giurisdizionale, tenuto conto che i fatti riguardano cittadini stranieri soccorsi in acque internazionali.
Intanto, oggi molti quotidiani rilanciano l’inchiesta realizzata da Alex Crawford per Sky News dedicata ad una delle persone chiave coinvolte nel traffico di persone. In realtà Ermias Ghermay, battezzato da molte testate come il “boss” del traffico di esseri umani dalle coste libiche, è un personaggio ben noto alle polizie europee. Oggi la novità è la diffusione del suo identikit che pubblicato in primo piano, sembra fatto apposta per scaricare sul mostro di turno quelle responsabilità dei naufragi di migliaia di persone che sono quanto meno condivise dalle istituzioni nazionali ed europee.
Così quello che viene definito “un coinvolgimento di Ghermay nel naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa”, in cui morirono ben 366 persone, sarebbe dimostrato dalla registrazione di una telefonata nella quale si sente Ghermay «discutere del naufragio con uno dei suoi contatti in Sudan: i due ne parlano con disinvoltura come di un piccolo danno collaterale del loro traffico internazionale di uomini». Ghermay – prosegue la giornalista di Skt news – dà poi «la colpa ai migranti di insistere sul voler attraversare il Mediterraneo in un momento giudicato da lui inopportuno», ed entrambi gli interlocutori si dicono «preoccupati per l’impatto che il naufragio sta per avere sulla loro reputazione e quindi sul ‘business’».
Che il business ci sia è indubbio e non è una novità. E che chi lo gestisce sia privo di scrupoli è ampiamente prevedibile e scontato. Tuttavia resta oscuro come un commento come quello riportato possa “dimostrare” che Ghermay abbia avuto un ruolo nel naufragio. Insomma qualsiasi occasione è buona: lo scoop è lanciato, il mostro è in copertina pronto ad essere usato come capro espiatorio e come “giustificazione” di una inutile quanto inefficace “guerra agli scafisti” che con tutta probabilità servirà solo a modificare le rotte di navigazione, magari rendendole ancora più pericolose.