Non erano molti i giornalisti presenti ieri a piazza Cesare De Cupis. Totalmente assenti i politici. I protagonisti ieri erano le persone – tante, circa 300 – che hanno animato questa piazza, distante meno di 2 chilometri da viale Giorgio Morandi. Il viale, quello sì, da una settimana al centro delle cronache, capitoline e non solo (per approfondimenti vedi qui).
“Di chi è la colpa?”, questo il nome con cui, sui social network, veniva identificata l’assemblea di ieri. “Di chi è la colpa?” di quello che è successo la settimana scorsa, ossia delle bombe carta, dei sassi e delle minacce lanciate a più riprese dai residenti contro il centro di accoglienza che ospitava minori stranieri sito, appunto, in viale Giorgio Morandi? “Di chi è la colpa?”, ci si è chiesto in questi giorni ascoltando le accese lamentele, le proteste e la rabbia dei cittadini residenti in quella parte del quartiere Tor Sapienza, intervistati da televisioni e giornali.
Un minimo comun denominatore lega i tanti e diversi interventi che si sono succeduti ieri durante il microfono aperto: l’individuazione della responsabilità di quanto successo nel ruolo svolto dalla istituzioni pubbliche. O meglio non svolto. “La rivolta è comprensibile, l’obiettivo però è sbagliato. Non c’entrano i rifugiati. Il bersaglio devono essere le istituzioni pubbliche”, afferma uno storico residente del quartiere. Sono infatti istituzionali le responsabilità dei recenti fatti avvenuti a Tor Sapienza, un quartiere progressivamente abbandonato a sé stesso. Mancanza di servizi, illuminazione assente, mezzi pubblici a singhiozzo si associano alla totale inesistenza di servizi sociali e culturali, dove invece sono molto presenti spaccio, microcriminalità e prostituzione. La rabbia delle persone è giusta, è stato detto più volte nei diversi interventi. Ma non c’entrano nulla i cittadini stranieri, anch’essi ammassati, proprio come i residenti, nella periferia della città, in un’unica struttura a sei piani gestita dalla cooperativa Un Sorriso, dove sono stati portati minori stranieri non accompagnati, richiedenti asilo e rifugiati. Al momento solo questi ultimi, inseriti in un progetto Sprar (Servizio Protezioni Richiedenti Asilo) sono ancora presenti nel centro, ancora sorvegliato dalla camionette della polizia. I minori sono stati trasferiti in altre strutture. Minori che, è bene ricordarlo, fuggono da zone di conflitto e persecuzioni. E che qui hanno ritrovato una nuova guerriglia.
“La base è mortificata!” denuncia un residente storico. E, quando sale la frustrazione di una base sociale bistrattata, la strumentalizzazione è più semplice. Come è successo a Tor Sapienza: alcuni interventi sottolineano la presenza, nel quartiere, di persone “venute da fuori”, membri di organizzazioni di estrema destra, che hanno cavalcato la rabbia dei residenti, inascoltati dalla classe politica, convogliandola verso “lo straniero” e trasformandola in un fortissimo razzismo. La stessa strumentalizzazione compiuta da alcuni politici che, se fino a poco tempo fa chiedevano a gran voce l’istituzione della Padania come stato a sé ora, a caccia di elettori, rincorrono il disagio espresso in alcune zone dell’intero territorio nazionale, Tor Sapienza compresa.
E poi ci sono altre responsabilità. “Dov’è finita la sinistra?” ci si chiede da più parti. L’assenza di alcune associazioni storicamente impegnate nella difesa dei diritti si fa sentire, così come di una parte politica capace di raccogliere i problemi presenti e affrontarli davvero. Viene scatenata, attualmente, una guerra tra poveri, sottolinea la piazza. Mentre quello che servirebbe è un attento e costante lavoro politico e culturale, in tutte le periferie della città, non solo a Tor Sapienza, “perché i problemi sorti qua verranno fuori anche in altre zone, e in alcune già li abbiamo visti”, come afferma A., operatrice sociale.
Manca un lavoro politico, sociale e culturale: e da qui occorre ripartire. Per questo l’assemblea pubblica non è stato un momento fine a sé stesso, ma la tappa di un percorso comune da rilanciare. Lo si farà insieme martedì 25 davanti al centro culturale Giorgio Morandi, che ha sede proprio nel complesso Ater dell’omonimo viale.
Serena Chiodo