Che la cosiddetta spending review preveda tra le altre cose il taglio del 10% del personale pubblico è noto ormai a tutti. Dietro quell’anonimo diecipercento ci sono delle persone con il proprio percorso e le proprie competenze professionali. E se la logica che verrà seguita per procedere ai tagli sarà la stessa che è stata comunicata ieri dalla ministra Fornero in occasione di un incontro organizzato dall’Unar, non ci siamo.
La sede era quella della presentazione della prima indagine ISTAT sulle opinioni degli italiani in merito alla presenza dei migranti “I migranti visti dagli italiani”, commissionata dal Dipartimento delle pari opportunità su iniziativa dell’Unar. Ma l’oggetto che doveva essere al centro dell’incontro è passato in secondo piano di fronte alla notizia del mancato rinnovo del contratto al Direttore dell’Unar e del decurtamento del personale dell’ufficio: 9 delle 13 persone dello staff dell’ufficio, non dipendenti della Presidenza del Consiglio, dovranno fare ritorno alle amministrazioni di partenza entro ottobre 2012. Se il Governo non cambia idea, l’ufficio dovrà continuare a lavorare con 4 persone. Come dire, bloccare il suo funzionamento: ciò che non è riuscito a fare la Lega Nord (che chiese con un’interrogazione parlamentare la chiusura dell’Unar considerato troppo scomodo) riesce a farlo la tecnica Fornero.
Secondo la ministra, che è stata costretta a “giustificare” questa scelta di fronte a un pubblico giunto qui per discutere di tutt’altro ma che ha esplicitato immediatamente il suo dissenso rispetto alla scelta adottata, si tratta di una decisione “necessaria” per “ragioni macro-economiche”.
Ora. Noi non abbiamo mai risparmiato critiche all’Unar a partire dalla contestazione della sua collocazione presso la Presidenza del Consiglio che riteniamo non assicuri a sufficienza la sua autonomia dall’esecutivo; né abbiamo mai ricevuto contributi dall’Unar. Possiamo quindi permetterci di esplicitare liberamente e pubblicamente il nostro dissenso.
L’Unar istituito nel 2004 ha faticato molto a decollare ed ad assolvere i compiti che ad esso attribuisce la legge. Per molti anni ha fatto poco o niente. Ma è indubbio che negli ultimi due anni e mezzo l’attività svolta dall’ufficio si sia sviluppata in modo significativo dando alla tutela contro le discriminazioni, anche istituzionali, un notevole slancio.
Che il taglio del personale vada a colpire in modo così draconiano l’unico Ufficio nazionale preposto a combattere le discriminazioni razziste ci sembra “esemplare”: il maggiore impegno nella lotta alla xenofobia e al razzismo invocato subito dopo la strage di Firenze da illustri esponenti del Governo sembra, per l’appunto, destinato a restare un auspicio retorico.
I tagli “non lineari” verranno eseguiti in questo modo in tutte le amministrazioni pubbliche, a prescindere dalla valutazione del lavoro svolto, dalla domanda di servizi, dalle competenze dei singoli lavoratori, dagli impegni internazionali già contratti? Ad esempio, quelli già in essere implicherebbero non un minore ma un maggiore impegno nella lotta alle discriminazioni e al razzismo.
Si tratta davvero di tagli indispensabili? Noi pensiamo di no. Anche quando le risorse a disposizione sono limitate, anche quando occorre ridurre i costi pubblici, è sempre possibile scegliere. Si può scegliere di tagliare il personale dell’Unar o, ad esempio, bloccare l’acquisto degli F35, o, ancora, chiudere i Centri di identificazione e Espulsione.
E’ possibile scegliere.
Dunque se le decisioni annunciate verranno confermate, il Governo tecnico dovrà assumersi la responsabilità di aver scelto di cancellare con un colpo di spugna quel poco di buono che è stato fatto a livello istituzionale nazionale nella lotta alle discriminazioni e al razzismo in Italia.