320 euro per 12-13 ore di lavoro agricolo al giorno: questo quanto promesso (ma non pagato) a 44 lavoratori provenienti dal nord Africa secondo quanto denunciato dalla Flai CGIL. Il baratro che separa di solito Nord e Sud in qualsiasi statistica ufficiale sullo stato economico e sociale del paese, evidentemente, scompare quando si parla di sfruttamento lavorativo, di salari ai limiti della sussistenza, di condizioni di lavoro disumane che sono la normalità nel mondo del lavoro nero agricolo ma non solo. La notizia infatti questa volta viene da un piccolo comune vicino ad Alessandria, Castelnuovo Scrivia, proprio nei giorni in cui il Senato sta esaminando lo schema di decreto legislativo che dovrebbe consentire anche all’Italia di ratificare la Direttiva 52/2009. La Direttiva, che avrebbe dovuto essere ratificata entro il 20 luglio 2011, introduce “norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare” e impone agli stati membri di punire con “sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive” i datori di lavoro inadempienti.
La Flai Cgil racconta che i 44 lavoratori di Castelnuovo Scrivia sono stati trovati in condizioni di mal nutrimento, di affaticamento estremo e debilitati e che dell’importo pattuito hanno ricevuto solo pochi euro. Una situazione assolutamente simile a quella che solo qualche giorno fa è stata documentata, in relazione alle condizioni di lavoro agricolo diffuse in Calabria, in Puglia e in Campania, nel corso della presentazione di una ricerca (“Diritti violati. Indagine sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in aree rurali del sud Italia e sulle violazioni dei loro diritti umani e sociali”) svolta dalla cooperativa Dedalus di Napoli sotto il coordinamento di Enrico Pugliese.
Perché i lavoratori stranieri accettano queste condizioni di sfruttamento? E, soprattutto, perché non denunciano i loro datori di lavoro quando allo sfruttamento si accompagna non solo il sotto-salario ma il mancato pagamento di quanto dovuto? La crisi ha sicuramente abbassato le condizioni di lavoro anche nel settore agricolo, ma a inibire la denuncia del datore di lavoro è soprattutto la frequente sovrapposizione tra irregolarità giuridica e irregolarità lavorativa. Un lavoratore privo di permesso di soggiorno che denuncia il datore di lavoro oggi non è tutelato e rischia l’espulsione senza neppure ottenere il pagamento di quanto dovuto. In sintesi: la concomitanza tra l’aggravarsi della crisi e la mancanza di una tutela adeguata dei lavoratori vittime di sfruttamento espone i lavoratori stranieri al peggioramento delle loro condizioni di lavoro a maggior ragione quando sono privi di permesso di soggiorno.
Ecco perché, secondo Salvatore Fachile, avvocato dell’Asgi, contro il lavoro nero occorre affiancare alla tutela penale quella civile prevedendo un risarcimento economico da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore vittima di sfruttamento e la possibilità per la vittima di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia fino a quando il risarcimento non sia stato assicurato. In sostanza: dato che l’appello ai diritti da solo non basta e che l’introduzione di sanzioni penali non ha scoraggiato lo sfruttamento sul lavoro, dobbiamo fare in modo che il lavoro legale diventi “conveniente” sia al lavoratore che all’imprenditore.
A margine del dibattito sulla ratifica della Direttiva 52 anche la richiesta, da parte del Senato, di prevedere norme transitorie per i datori di lavoro che abbiano sino ad oggi impiegato lavoratori al nero. Oltre alle forze politiche presenti in Parlamento, si è espressa in tal senso anche l’Oim che suggerisce al Governo di considerare, anche se non è esplicitamente richiesto dalla Direttiva, la possibilità di un periodo di “riflessione” o di “ravvedimento” per il datore di lavoro che, messo davanti alle conseguenze penali delle nuove norme, ritenga più opportuno regolarizzare la situazione legale del migrante cosiddetto “irregolare”.
Tradotto in italiano: si tratterebbe di adottare un provvedimento di regolarizzazione che consenta l’emersione del lavoro nero a distanza di ormai quasi tre anni da quella regolarizzazione selettiva del 2009 che escluse dalla possibilità di regolarizzare la propria posizione giuridica e il rapporto di lavoro irregolare i lavoratori occupati in settori diversi dal lavoro di domestico e di cura. Un provvedimento contro il quale il Ministro dell’Interno Cancellieri si è, purtroppo, già espressa più volte.
Scarica il rapporto “Diritti violati”