Sono passati cinque anni dall’assassinio di Mor Diop e Samb Modou e dal grave ferimento di Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike, colpiti a Firenze il 13 dicembre 2011 dai colpi sparati da Gianluca Casseri, 50enne iscritto a Casapound, che si uccise poco dopo, circondato dalla polizia. Fu una strage razzista, nonostante in molti cercarono di banalizzarla come “il gesto di un folle”. Un folle che decise di aggredire solo e unicamente commercianti senegalesi, aprendo il fuoco al mercato di piazza Dalmazia e poi a quello di San Lorenzo. Un folle che militava in un movimento politico di estrema destra, i cui membri si autodefiniscono “fascisti del terzo millennio”.
I colpi sparati da Casseri tolsero la vita a Mor Diop e Samb Modou. Sougou Mor, Mbengue Cheike e Moustapha Dieng furono feriti gravemente. Dieng non è più autosufficiente a causa della lesione al midollo spinale provocata dai colpi di pistola, Mor fu colpito alle braccia, Mbengue allo stomaco: “Il dolore non mi ha mai abbandonato un attimo da quel maledetto 13 dicembre. Ho sempre dolore perché una pallottola mi ha bruciato l’intestino”, spiegava in occasione del conferimento della cittadinanza italiana a lui e agli altri superstiti, sollecitata dall’Associazione dei Senegalesi di Firenze in un appello rivolto all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Al gesto, frutto orrendo di un clima diffuso di intolleranza e di ostilità nei confronti dei migranti, non ha fatto seguito un grande cambiamento. Non vi è stata quella reazione corale che avrebbe dovuto mobilitare tutte le energie e le risorse positive, tutte le forze culturali, sociali, politiche che hanno come baricentro la Costituzione”, si leggeva nell’appello. Parole che restano drammaticamente attuali, come quelle lette sui cartelli apparsi nel corteo promosso a Firenze all’indomani della strage dall’Associazione dei senegalesi: “Chi sono i mandanti?”, o “La legge non è uguale per tutti, la discriminazione genera odio”.
Sono anni che in Italia si da spazio a politiche escludenti e discriminatorie, terreno fertile per la diffusione di un discorso politico e mediatico che sfuma spesso nel razzismo. Lo scrivevamo dopo la strage, descrivendola come “l’espressione atroce dell’odio razzista che ha travolto il paese anche grazie alle politiche di intolleranza e discriminazione, e a toni istituzionali sempre più aspri”. Allora, ricordavamo le parole pronunciate dall’ex viceministro Castelli: ‘Non possiamo sparare agli immigrati, almeno per ora’. A distanza di cinque anni, la situazione è, se possibile, peggiorata. Non è possibile ricordare in un solo articolo le molte espressioni razziste e discriminatorie di cui si sono fatti protagonisti i rappresentanti politici, o i diversi titoli di giornale che hanno rappresentato ‘lo Straniero’ come pericoloso antagonista del cittadino italiano. Una rapida ricerca nel nostro database consente di avere una panoramica di come e quanto il razzismo pervada la nostra società, dallo sport ai mezzi pubblici, dalla stampa alle istituzioni, in una pericolosa e costante legittimazione.
Cinque anni fa alcuni tentavano di minimizzare quella che è stata a tutti gli effetti una strage razzista; quest’anno, l’omicidio di un cittadino nigeriano è stato indicato, da più parti, come il gesto di un ultras. Invece, riprendendo le parole scritte dall’Associazione dei senegalesi di Firenze, “tutti sono vittime della manifestazione estrema di un razzismo quotidiano che umilia sistematicamente la nostra dignità”. Cinque anni fa l’Associazione scriveva che “occorre andare più a fondo e individuare tutte e tutti insieme come si è costruito nel tempo il clima che rende possibile l’esplodere della violenza razzista”, chiedendo “l’impegno di tutte e tutti per cambiare strada, promuovendo il rispetto della dignità di ogni persona [..] e operando concretamente perché simili fatti non si ripetano”.
A distanza di cinque anni, il panorama che abbiamo davanti ci impone di evidenziare che tale sollecitazione è stata deliberatamente ignorata dai rappresentanti politici e dai media mainstream.
Serena Chiodo