“Dottore, ma lei si rende conto che viviamo in un paese tra i più razzisti d’Europa, del mondo credo?”. Esordisce così Luca Ravenna nella nuova puntata di Non c’è problema, la webserie di cui è protagonista, autore e regista. Dieci puntate, da 6 minuti ciascuna, prodotte da La Repubblica e Cattleya in collaborazione con Timvision. L’obiettivo: raccontare le nuove fobie che assillerebbero l’uomo moderno. E nella nuova puntata, in streaming sul sito de La Repubblica, è la paura del razzismo ad essere analizzata.
L’approccio alle varie fobie vorrebbe essere ironico: ma guardando la puntata sulla paura del razzismo ci viene da pensare che qualcosa deve essere andato storto. Perché l’episodio sembra un insieme di luoghi comuni messi uno in fila all’altro. Dreadlocks, slang, abbigliamento stravagante -per quello che è il canone comune-, un linguaggio condito da continui “fratello, amico, my friend”, un accento particolare e molti errori di italiano: ecco come viene raffigurato ‘lo straniero’. Che altri non è se non il protagonista, un milanese residente a Roma, il quale un giorno si sveglia con la pelle nera e i capelli afro. Per questo chiama la polizia che, non capendo la situazione, lo sottopone a un interrogatorio: “Cosa facevi a Milano? Spacciavi?”, “Dammi i documenti”, poi con fare intimidatorio: “Senti, ci stiamo solo noi qua dentro, fai il bravo”, e ancora: “Brutto negro ora mi hai rotto”, per concludere con “Sei un negro, intelligente perché c’hai gli occhiali e me fai pure la morale? Qui stiamo in Italia mica in Francia, queste cose non se possono fa”, affermato da un poliziotto mentre l’altro mette le manette ai polsi del protagonista. Una serie di frasi a cui l’uomo ribatte dicendo: “Noi siamo tutti quanti uguali, non si fa così. Sei stato offensivo”.
Al termine del video, ci è davvero poco chiaro il messaggio che si vorrebbe diffondere. Tutta la polizia italiana è violenta e razzista? Tutte le persone con la pelle nera parlano un pessimo italiano e usano termini appartenenti allo slang? O indossano abiti colorati e hanno i dreadlocks?
Ipotizziamo che caratterizzare il protagonista in questo modo corrisponda a una scelta precisa, un tentativo di sollecitare una riflessione attraverso l’approccio ironico. Ma davvero non c’era altro modo, se non l’agitare una macchietta, una caricatura composta da pregiudizi, per fare riflettere su un fenomeno molto grave, che pesa sulle persone in ogni ambito della quotidianità? Come reagiremmo se in un video francese, tedesco, cinese, eritreo, gli italiani venissero rappresentati con una pizza in una mano e un mandolino nell’altra, mentre gesticolano parlando di cibo? Sono questi infatti alcuni stereotipi che ridicolizzano la società e la cultura italiana, banalizzandola e negando le peculiarità che caratterizzano le varie zone, le diverse regioni, le singole persone. Perché non dovrebbe essere considerata offensiva l’immagine restituita dal video, che copre di stereotipi un intero continente, abitato da più di un miliardo di persone diverse, divise tra ben 54 paesi?
Non c’è problema, recita il nome della webserie. Invece il problema c’è, eccome: a quanto pare, gli stereotipi sono talmente interiorizzati da essere usati con grande leggerezza anche quando ci si propone – forse – di smontarli.