Unar, che ha recentemente istituito l’Osservatorio Nazionale contro le Discriminazioni nello Sport, esprime rammarico per il silenzio della Lazio e del suo nuovo portiere, accolto con uno striscione fascista.
Di seguito il comunicato stampa diffuso dall’Ufficio.
C’E’ ANCORA MOLTA STRADA DA PERCORRERE PER ELIMINARE IL RAZZISMO E LE DISCRIMINAZIONI DAI CAMPI DI CALCIO.
Purtroppo siamo costretti ad intervenire dopo aver atteso per l’intero fine settimana un cenno non diciamo di denuncia, ma almeno di dissociazione da parte della S.S. LAZIO e del suo nuovo portiere, Pepe Reina, accolto a Roma con lo striscione di stampo fascista “Saluti romani al camerata Reina”- così l’Osservatorio Nazionale contro le Discriminazioni dello Sport dell’UNAR – Ufficio Nazionale contro le Discriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
“Voglio ricordare – afferma il direttore dell’UNAR – Triantafillos Loukarelis – che l’Italia si riconosce nei valori della democrazia e dell’antifascismo, quindi attendiamo di capire come si posiziona questo club prestigioso, quotato in borsa e appena approdato in Champions League. Sono costretto a ricordare che il fascismo e il nazismo hanno nel proprio DNA l’antisemitismo e il razzismo e in passato si sono macchiati dei peggiori crimini contro l’umanità. Pertanto, mi sfugge come una società così ambiziosa e proiettata anche a livello internazionale non abbia sentito l’esigenza di condannare lo striscione esposto, che ormai ha fatto il giro del mondo, dichiarandosi estranea ai disvalori che rappresenta. Al contempo, mi meraviglia come un giocatore come Reina, pluricampione e ormai maturo per età e per esperienza, non si sia dissociato dalla parola “camerata”.
Temo si tratti dell’ennesima sottovalutazione di un fenomeno che vede nell’omertà e nel silenzio di chi ricopre ruoli di grande responsabilità, anche di natura culturale, una complicità indiretta. Non meravigliamoci quindi se l’Italia nella sua massima serie calcistica è considerata tra le nazioni meno immuni dalla violenza e dal razzismo – conclude Loukarelis.