C’era una volta l’emergenza Covid. Anzi, no, c’è ancora. Purtroppo. Ma il problema è che la storia si ripete e pare che non s’impari nulla dalle esperienze già fatte. Accade che, oramai da settimane, gli ospedali reclamino un rafforzamento dello staff di medici, infermieri e OSS (si vedano, a titolo di esempio, due appelli da Nord a Sud), ma, nonostante le deroghe di legge e le direttive europee, si continua a non assumere (neanche in via temporanea, ndr) medici laureati all’estero o cittadini stranieri.
Eppure, secondo Consulcesi, mancano all’appello ben 56mila medici, malgrado al 23 ottobre 2020 (che è la data dell’ultima rilevazione effettuata dal Governo, si veda qui la risposta all’interpellanza alla Camera della sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa), le risorse umane del Servizio sanitario nazionale siano state potenziate complessivamente di oltre 36.300 unità. Secondo l’Amsi, l’Associazione dei medici stranieri in Italia, sono 75.500 i professionisti della sanità – di cui 22 mila medici, 5 mila odontoiatri, 38 mila infermieri, 5 mila fisioterapisti, 5 mila farmacisti, 1000 psicologi, 1500 tra podologi, tecnici di radiologia, biologi, chimici, fisici– che vivono in Italia con un passaporto straniero, e lavorano soprattutto in strutture private come cooperative o Rsa, con contratti a termine o di semplice collaborazione nei servizi di base come le guardie mediche, i pronto soccorso o gli ambulatori dei distretti sanitari (si veda anche l’appello di Khalid Chaouki ai ministri Speranza e Lamorgese).
Eppure, pochi giorni fa, proprio la stessa Protezione Civile, in ottemperanza alla OCDPC n. 709 del 24 ottobre 2020 – Ulteriori interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, per far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del Covid-19, in particolare al fine di garantire l’operatività del sistema di ricerca e gestione dei contatti dei casi di COVID-19 (contact tracing), ha aperto una procedura per l’individuazione di 1.500 unità di personale disponibile a prestare attività di supporto nelle strutture sanitarie territoriali. Il tutto ricadendo nello stesso errore: ovvero quello di escludere, discriminandoli di fatto, dalla partecipazione alla procedura tutti i cittadini stranieri non lungo-soggiornanti, pur titolari delle competenze professionali richieste.
Già in piena emergenza sanitaria, durante il lockdown generale del marzo scorso, numerose strutture avevano pubblicato avvisi per l’assunzione di medici e infermieri riservandoli ai soli cittadini italiani o dell’Unione Europea, o comunque escludendo i cittadini privi di un permesso di soggiorno di lungo periodo, in contrasto con i decreti governativi approvati per affrontare l’epidemia. Lunaria, insieme a Italiani senza cittadinanza e Asgi, lo aveva già denunciato, chiedendo ad alcune strutture di modificare i bandi discriminatori in ragione dell’irragionevolezza di una tale esclusione, vista l’emergenza.
Eppure, il D.L. 18/2020 (Decreto “Cura Italia”, “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”), convertito in Legge 27/2020, all’art. 13 (Deroga delle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie ((e in materia di cittadinanza per l’assunzione alle dipendenze della pubblica amministrazione), comma 1, prevede che “per la durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga agli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n. 394 e successive modificazioni, e alle disposizioni di cui al (decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206), è consentito l’esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti che intendono esercitare sul territorio nazionale una professione sanitaria conseguita all’estero regolata da specifiche direttive dell’Unione europea”. E al comma 1-bis precisa inoltre che “per la medesima durata, le assunzioni alle dipendenze della pubblica amministrazione per l’esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario sono consentite, in deroga all’articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge”.
In senso contrario di marcia, secondo un monitoraggio condotto in questi mesi dall’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), nei bandi pubblici usciti di recente, quasi nessuna struttura sanitaria ha ammesso i professionisti stranieri (a titolo di esempio si vedano qui e qui due bandi discriminatori a tutt’oggi non modificati). Può sembrare assurdo, ma è così. Esattamente come a marzo, noi di Lunaria, sempre insieme a Italiani senza cittadinanza e Asgi (qui il comunicato congiunto appena diffuso), ci apprestiamo a scrivere altre lettere e a denunciare i casi di mancata modifica dei bandi (come già sollecitato dall’Asgi stesso nei mesi scorsi).
E se a marzo e aprile sono arrivati medici e operatori sanitari da Russia, Cina, Cuba, per aiutare e sostenere l’Italia nella gestione dell’epidemia Covid di un sistema sanitario al collasso, risulterebbe insensato, oggi, alla luce di quanto detto sin qui, richiamare nuovamente medici dall’estero (così come l’insensata proposta fatta dal presidente della commissione Sanità della Regione Piemonte, Alessandro Stecco, consigliere della Lega, professore universitario e medico presso l’ospedale di Novara, che ha lanciato un appello a tutte le Organizzazioni non governative al fine di dirottare personale sanitario all’estero verso il Piemonte), ignorando il fatto che i medici e gli infermieri pronti ad entrare in servizio li abbiamo già presenti in Italia (senza forse neanche aver bisogno di chiamare in supporto i veterinari, come da proposta del presidente del Veneto, Luca Zaia).
Ora. Ci rendiamo perfettamente conto dell’urgenza e della necessità di chiudere le procedure già in essere e di immettere in servizio il numero più alto possibile di personale sanitario prima che sia troppo tardi, ma riteniamo che il rispetto della dignità, la parità di trattamento, e il conseguente divieto di discriminazione in base alla cittadinanza debbano essere sempre e comunque salvaguardati, anche nell’interesse della Pubblica amministrazione che potrebbe attingere alle risorse migliori, più disponibili e soprattutto già presenti sul territorio, indipendentemente dalla nazionalità.
L’invito, al Governo e a tutte le strutture che lavorano nel comparto sanitario, è quindi quello di cercare di rendere l’emergenza Covid-19 un’occasione per rivalutare il ruolo di questi cittadini stranieri, dotati di titoli e competenze, e dare loro più diritti. Perché, come abbiamo ribadito più volte, questo virus non fa distinzione alcuna e non esclude nessuno. Colpisce e basta. Insomma, l’invito a marzo, come oggi, è a non perdere tempo dietro inutili discriminazioni che ci fanno perdere di vista l’obiettivo comune della lotta al virus.