Riportiamo, qui di seguito, il documento su “Accoglienza e inclusione dei richiedenti asilo e dei profughi” elaborato dal Gruppo di lavoro specifico di “Sì Toscana a sinistra“.
L’arrivo in Italia di persone provenienti dall’Africa, dal Medio Oriente e in generale dalla sponda Sud del Mediterraneo viene affrontato come un’emergenza, e la sua gestione inefficace e difettosa concorre a provocare le sempre più fitte farneticazioni di quanti cercano consensi alimentando l’intolleranza ed il razzismo.
Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che non si tratta di una situazione emergenziale, ma di un flusso continuo causato da guerre ed eventi drammatici al cui sviluppo anche il nostro paese ha contribuito.
Dell’emergenza non ci sono certo i numeri, che sono bassissimi, quasi insignificanti rispetto ai flussi di profughi siriani in Libano o in Turchia, dal Corno d’Africa in Sudan etc. I tumultuosi eventi delle ultime settimane – dagli sbarchi sull’isola greca di Kos ai respingimenti effettuati sulla frontiera di terra della Macedonia – mostrano tra l’altro come nella stessa Europa gli arrivi dei profughi e dei richiedenti asilo coinvolgano solo parzialmente il nostro paese, e si dirigano sempre di più lungo altre rotte (in primo luogo quelle balcaniche).
Uscire dalla logica del migrante disperato, poveraccio, dalla logica dei corpi anonimi e di umanità omogenea, rappresentata in termini di peso, significa incidere sulle procedure, sulle pratiche di accoglienza, sulle mistificazioni del discorso razzista oggi egemone.
La stessa enfasi mediatica sulla tragicità degli sbarchi – pur appoggiandosi alla cruda, innegabile realtà dei naufragi e delle morti in mare – rischia di relegare i migranti al ruolo di semplici vittime: vittime passive e inermi, da salvare, da sottrarre agli “scafisti aguzzini”, da aiutare (meglio se “a casa loro”), e mai da ascoltare, da capire. I profughi sono sempre di più, nel nostro immaginario collettivo, figure mute, che non hanno nulla da dirci, nessuna capacità di agire, nessun proprio punto di vista. E’ questa immagine del migrante che alimenta intoleranze, razzismi, rifiuti, politiche securitarie.
Le poche decine di migliaia di richiedenti asilo che si fermano ogni anno in Italia compensano solo in parte il calo (di cui non si parla) di affluenza di migranti cosiddetti “economici”, ben al di sotto delle cifre di una decina di anni fa, quando i flussi comunque non riuscivano a rispondere alle esigenze del mercato del lavoro.
Andrebbero quindi predisposte, da parte dell’Italia e dell’Europa, politiche volte ad accogliere e ad includere coloro che cercano vie di salvezza di fronte a realtà insostenibili.
L’Unione Europea rischia l’implosione: di fronte all’inevitabilità degli arrivi, alla determinazione dei profughi giunti in Ungheria ed alle loro marce verso l’Austria e la Germania, nonostante gli atti repressivi del Governo di Budapest, al mettersi in moto di iniziative di solidarietà ad opera delle popolazioni locali, vi è stata una svolta, non priva di ambiguità, da parte dei governi tedesco e austriaco, e lo stesso Commissario Juncker ha mandato timidi segnali di apertura. Ma diversi paesi, in primo luogo quelli dell’Est, mantengono una linea di totale chiusura e le affermazioni verbali di Angela Merkel e degli altri non si traducono in una politica chiara e unitaria, europea, di accoglienza e inclusione. Politica che, per essere reale, deve fare i conti con le misure di rigore e di austerità, di riduzione della spesa sociale, di abbattimento del welfare.
L’Italia, dal canto suo, dopo aver affossato l’operazione “Mare Nostrum” (che aveva salvato molte vite), dà risposte non adeguate e volutamente non programmate, affidate ai prefetti nella logica dell’emergenza, e prospetta una lotta senza quartiere agli scafisti, definiti impropriamente i “nuovi schiavisti”, che diviene, nei fatti una lotta ai migranti. Il recente episodio delle 65 ragazze nigeriane mandate nel CIE di Ponte Galeria per essere espulse dall’Italia non appena arrivate mostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che non c’è alcuna volontà di lotta allo sfruttamento, alla riduzione in schiavitù, alla tratta. Solo la mobilitazione immediata e concorde di molte associazioni ha impeditola loro immediata espulsione.
I media contribuiscono a far crescere l’allarmismo, alimentando così le affermazioni deliranti di leghisti e soci.
Rispetto a questo quadro preoccupante, il Presidente Enrico Rossi ha preso posizione, sostenendo le affermazioni di mons. Galantino, segretario della CEI, e riproponendo il cosiddetto “modello toscano” di accoglienza.
Sono indubbiamente da condividere il rifiuto netto dei deliri razzisti e l’individuazione di un sistema di accoglienza fondato sui piccoli gruppi e non sulle grosse concentrazioni.
E tuttavia, la ripetuta esaltazione del “modello toscano” rischia di diventare retorica vuota. L’ospitalità diffusa sul territorio, in piccole strutture, è infatti un requisito necessario, ma non sufficiente per costruire una buona accoglienza. E’ indispensabile definire anche standard di qualità, controllare in modo rigoroso i soggetti che stipulano convenzioni, monitorare i protocolli d’intesa e le competenze degli enti gestori. In una prima fase, al momento dell’arrivo sul territorio, può essere opportuno individuare spazi di più ampie dimensioni per avere il tempo di ricercare sistemazioni adeguate (ed evitare soluzioni improvvisate e pasticciate). Nella seconda fase, quella dell’accoglienza vera e propria, al criterio dimensionale (piccole strutture invece che grandi concentrazioni) andrebbe aggiunto un criterio di localizzazione, evitando l’isolamento in luoghi marginali, e favorendo al contrario la piena integrazione nelle città e nelle aree abitate.
Anche se la distribuzione dei nuovi arrivi è affidata ai prefetti, la Regione può e deve svolgere un’azione di monitoraggio, di sorveglianza attenta dei piani prefettizi, di sostegno ai percorsi d’inclusione (e per un loro sviluppo). Ed è necessario che le Amministrazioni Comunali – invece di nicchiare o di tirarsi fuori dalle convenzioni tra Prefetture e enti gestori, come avviene sempre di più – provvedano ad una presa di responsabilità nella gestione delle politiche territoriali, proponendosi come prime garanti della qualità e dell’efficacia delle procedure d’accoglienza, nonché del rispetto della dignità degli esseri umani accolti.
In queste ultime settimane molte decisioni sono apparse abbastanza casuali ed i percorsi hanno regole, valenze e qualità diverse.
In effetti gli arrivi degli ultimi tempi hanno saturato le organizzazioni che hanno maggiore esperienza e capacità, per cui i prefetti stanno ricorrendo alle prestazioni di soggetti spesso del tutto impreparati, che mirano soltanto ad incassare le quote previste e ricorrono anche a dei subappalti.
Il monitoraggio che compete alla Regione è finalizzato ad avere un quadro preciso, fornito dalle Prefetture, delle persone arrivate e della loro sistemazione, e ad effettuare un controllo delle soluzioni alloggiative e di come vengono effettuati tutti i servizi previsti (fornitura dei pasti o avvio alla loro gestione, facilitazione dell’apprendimento dell’italiano, assistenza legale, assistenza psicologica, ma soprattutto pratiche volte a far emergere la soggettività e l’iniziativa dei migranti), sempre nel quadro del rispetto della dignità delle persone accolte.
E’ importante che siano adottati al riguardo i parametri SPRAR, che si miri ad assicurare comunque i diritti delle persone, che vi sia un coinvolgimento degli enti locali come punti di riferimento dei vari percorsi d’accoglienza, in modo da favorire un collegamento con le reti territoriali esistenti per i servizi da fornire (insegnamento dell’italiano, assistenza legale, assistenza psicologica) e per permettere anche inserimenti di tipo familiare – che potrebbero così avvalersi di tale indispensabile supporto -. Anche su questo punto si tende, da parte del Presidente Rossi, a semplificare la questione, invitando le famiglie a dichiararsi disponibili all’accoglienza senza chiarire su quali appoggi, sul piano logistico e dei servizi, esse potranno contare.
Una particolare attenzione dovrebbe essere posta sui minori non accompagnati, per cui andrebbero predisposte misure specifiche.
Risulta pure di grande importanza che le istituzioni, a partire dalla Regione, si adoperino, con iniziative culturali, di informazione e di confronto, per costruire un clima favorevole all’accoglienza ed all’inclusione a livello di opinione pubblica e di contesto sociale.
Va valutata con grande attenzione la questione delle eventuali attività da far svolgere ai richiedenti asilo/profughi: è indubbiamente positivo che essi non siano lasciati nell’inattività completa, ma le loro occupazioni non devono essere occasioni di sfruttamento (a volte pianificato, altre volte ingenuo) e vanno collegate a percorsi formativi e ad ipotesi di inserimenti lavorativi successivi, nonché a forme di auto-organizzazione. Non poche delle pratiche magnificate come “contratti di solidarietà” o come “volontariato” celano malamente forme di sopraffazione e sopruso che ostacolano l’agency delle persone, i loro desideri e soprattutto la realizzazione dei loro progetti futuri, innescando un circuito di assistenza/ dipendenza/ controllo. Si parla sempre più spesso, tra l’altro, di un “risarcimento” che il migrante dovrebbe nei confronti della “generosità” del paese ospitante: un’idea che fa a pugni con tutte le definizioni giuridiche dello status di rifugiato. L’asilo politico è infatti un diritto soggettivo pieno e non una forma di “benevolenza” (meritevole appunto di un “risarcimento”).
Decisiva appare anche la questione delle competenze degli operatori, che per la massima parte vanno formati e accompagnati a una consapevolezza critica del proprio ruolo professionale. Il rischio, infatti, è quello di riprodurre – nel rapporto quotidiano con le persone accolte – pratiche di assoggettamento e deprivazione di iniziativa, tipiche di tutte le forme di istituzionalizzazione.
Occorre cioè uscire da quel complesso di azioni che oscillano, reggendosi vicendevolmente, tra uno sguardo compassionevole e de-privante (cura, approccio salvifico”, vittimizzazione) e un’attenzione più rigorosa al “controllo” (educare, sorvegliare, moralizzare, punire). L’accoglienza tende a confondersi spesso con la sorveglianza, al punto che i richiedenti asilo si trovano – nei casi più stremi – a subire forme soft di reclusione/trattenimento (divieto di entrare nelle strutture e di uscirvi, divieto di ricevere visite, rigide prescrizioni sugli orari e i ritmi di vita, controllo sulla vita privata e sulle relazioni amicali o familiari etc.).
La Regione dovrebbe comunque intervenire sulla questione profughi affrontando, più in generale, tutte le problematiche dell’immigrazione:
muovendosi cioè per la piena applicazione della legge regionale, che si basa su principi validi ma che è scarsamente messa in pratica;
stimolando Governo e Parlamento a rivedere a breve termine la legge Bossi-Fini, che contiene parti inaccettabili, a formulare finalmente una legge sul diritto d’asilo che dia piena attuazione all’articolo 10 della Costituzione, ad approvare delle norme che attribuiscano la cittadinanza a tutte/i coloro che nascono sul suolo italiano e riconoscano il diritto di voto alle persone provenienti da altri paesi che vivono qui stabilmente, come richiesto dalla campagna “L’Italia sono anch’io”;
contribuendo all’indispensabile cambiamento di rotta dell’Unione Europea sui temi dell’accoglienza e dell’inclusione dei migranti.
E’ infine auspicabile che il dibattito sulle tematiche in oggetto esca finalmente dagli infimi livelli attuali, a cui fanno da punto di riferimento le esternazioni di Salvini e soci, per misurarsi al fine su prospettive di ampio respiro, su come cioè far sì che i richiedenti asilo ed i profughi divengano attori, insieme agli italiani, dei cambiamenti necessari nel nostro Paese, contro le politiche improntate all’austerità ed alla distruzione dello stato sociale, e diano un contributo a creare nuove condizioni di vita nei luoghi da cui essi provengono, devastati da violenze, distruzioni, guerre. A livello europeo ci sono segnali importanti di un movimento e di un confronto che vanno in questa direzione. Sta a chi si batte per una politica di accoglienza e d’inclusione farli crescere anche in Italia.
In Toscana, la Regione può essere promotrice di progetti che si pongano nell’ottica dell’inserimento dei rifugiati, dei profughi, di quanti ricevono i permessi umanitari dopo i periodi della prima accoglienza. Per esempio, c’è l’estrema necessità di interventi per la difesa e il mantenimento del territorio, per il recupero delle zone di campagna abbandonate, per la rivitalizzazione dei paesi montani oggi semi-deserti (come è già accaduto in altre parti d’Italia ed è stato proposto, anche per la Toscana, alcuni anni fa). E’ possibile realizzarli, questi interventi, creando occupazione dignitosa, retribuita e sindacalmente garantita sia per i migranti che per gli italiani.
Gli arrivi delle persone dall’Africa, dal Medio Oriente, dalla sponda Sud del Mediterraneo, considerati in genere una calamità (da respingere o da subire, a seconda dei diversi punti di vista), sarebbero così l’occasione per una svolta complessiva riguardo alle politiche relative all’immigrazione e per la costruzione di progetti realmente innovativi. Rovesciando una frase demenziale che sentiamo ripetere da un quarto di secolo (“aiutiamoli a casa loro”), sarà il caso di dire: “aiutiamoli, e lasciamo che ci aiutino, a casa nostra: nostra, di chi cioè ci vive, da secoli o da settimane“.