di Giuseppe Faso
Di nuovo Meleto
Ho documentato, due giorni fa, la situazione nel centro di accoglienza nel casolare isolato e diroccato di Meleto, frazione di Castelfiorentino. Tra le foto, fornite da un gruppo di cittadini, per questo minacciati dall’ente gestore e attaccati dall’Amministrazione Comunale, una mostrava un pozzo di acqua non potabile, più in là, meno fotografabili per le condizioni di abbandono, acque putrescenti e un laghetto adoperato in passato per l’irrigazione. E avevo taciuto, tra le molte altre perle degne di ulteriori analisi, sul fatto che l’acqua corrente era stata allacciata – sembra intorno al 20 luglio – dopo un buon periodo di permanenza degli ospiti, giunti tra il 29 giugno e il 1 luglio. I richiedenti asilo avevano lamentato questa situazione, col giornalista di Redattore sociale (per approfondire leggi qui, qui e qui) e coi volontari poco amati dal Comune. Volontari del luogo mi avevano fatto sapere che due dei profughi accusavano febbri violente, e per giorni non erano stati né visitati né tanto meno curati, nonostante una di loro avesse tentato di avvertire l’Amministrazione Comunale, in una telefonata in cui la gravità del caso forse si era persa in mezzo ad altre contestazioni; ma il fatto che dopo l’articolo su Redattore Sociale si fosse corsi a qualche proclamato riparo (visita medica, inizio dei lavori dopo 4 settimane) aveva fatto sperare in un trattamento meno inumano. Che era l’obiettivo del mio lavoro di documentazione.
L’ammalato ha sempre torto
Nel frattempo, un ragazzo è stato portato in ospedale, in gran segreto, e ne è stato dimesso presto, martedì 28 luglio. Manca la notizia sulla data del ricovero, ma sembra del tutto probabile che sia avvenuta dopo l’articolo di Redattore Sociale, quando – come ammette candidamente la miglior fonte delle inadeguatezze dell’Agenzia che gestisce il centro: il suo ufficio stampa – si è corso ai ripari, chiamando un medico: fino ad allora i solerti operatori non si erano accorti di quanto un visitatore di passaggio poteva sapere: la presenza due persone con la febbre alta e persistente.
Si tratta di un caso di Chikungunya, una febbre violenta trasmessa dalla zanzara tigre. Originaria delle zone tropicali, tale febbre è stata riscontrata in Europa dal 2007, al seguito della zanzara tigre. Tra le regioni preferite, l’Emilia-Romagna e la Sicilia. Come al solito in questi casi, l’amministrazione sostiene che il silenzio serve a evitare “speculazioni e reazioni di tipo allarmistico-razzistico” (come si esprimono i quotidiani che queste reazioni contribuiscono ad alimentare). In questo, sindaci e speculatori razzisti sembrano condividere un presupposto: che della malattia sia responsabile chi ne è colpito: il portatore, l’infetto, l’infettante. Si nascondono così le vere responsabilità. Di questa malattia sono responsabili in diversa misura il luogo di accoglienza, il gestore che non ha proceduto a una disinfestazione di un luogo evidentemente malsano, l’amministrazione e in particolare l’assessore al sociale, che dopo una visita proclamava che tutto andava bene, e non vedeva nessun rischio sanitario, le acque putrescenti etc.: tanto, urgeva passare allo sfruttamento del lavoro di questi ospiti.
Naturalmente la notizia sul ricovero ospedaliero, ritardata di qualche giorno, è emersa, e nel peggiore dei modi. L’allarme è già scattato, le venature razziste esplodono, i social network, sollecitati dalla destra più becera, sono al lavoro.
La notizia nascosta è sempre la più rilevante
Tre sono le notizie rilevanti di cui sulla pagina della Nazione sparisce ogni traccia.
La prima riguarda le condizioni malsane della meravigliosa “location” (come scrive l’ufficio stampa della Multicons). La seconda è relativa alla visita che pochi giorni fa la Prefettura ha compiuto in quel luogo malsano, minimizzando rispetto alle denunce di cittadini e di Redattore sociale. Del resto, la Nazione dimentica anche di citare le rassicurazioni fatue e ingiustificabili di due settimane fa da parte dell’assessore Tafi. La terza omissione è la più significativa. Provi il lettore a leggere l’articolo di taglio basso della “Nazione” di oggi. Ci potrà trovare molte informazioni sulla Chikunguya, ricopiate solertemente, senza riportare la fonte, dal portale di epidemiologia per la sanità pubblica.
A un certo punto, però il giornalista dimentica di copiare poche parole, che a me sembrano proprio la notizia più pertinente in questo contesto. Le ricopio io: “Dopo un periodo di incubazione di 3-12 giorni..”.
Da tre a dodici giorni; e gli ospiti del centro sono tutti arrivati tra il 29 giugno e il 1 luglio. La notizia nascosta è sempre la più rilevante.