E’ stata presentata ieri la Relazione sull’attività della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato svolta nel corso della scorsa legislatura. Ad accompagnare l’intervento di Luigi Manconi, che è stato Presidente della Commissione, quelli di Giuliano Amato, Luigi Ferrajoli e Giovanni Maria Flick.
La Commissione ha costituito senza dubbio in questi anni un punto di riferimento importante per chi ha a cuore la garanzia dei diritti umani che, come ha sottolineato Manconi, è questione che è stata in passato prevalentemente affrontata con riferimento ai paesi terzi, mentre oggi più che mai ha a che vedere con il qui e l’ora. “La tutela e l’effettività dei diritti umani, dunque, non si riferiscono solo a terre lontane, società poco sviluppate, regimi totalitari, ma al contrario ci riguardano direttamente e vanno costantemente verificate e monitorate” si legge nella relazione: parole che alla luce di quanto successo nei giorni scorsi a Bardonecchia come al centro del Mediterraneo, suonano quanto mai attuali. I diritti sono infatti ormai violati continuamente nei Centri temporanei per il rimpatrio, alle frontiere e persino quando è a rischio la vita delle persone in mare.
Il lavoro della Commissione è stato intenso e a tutto campo e lo testimoniano i numeri: 118 sedute, 184 incontri con associazioni e garanti dei diritti umani, 30 iniziative pubbliche, 45 missioni sul posto, 8 risoluzioni approvate in Commissione con una particolare attenzione dedicata ai diritti dei migranti e dei rifugiati, dei rom, sinti e camminanti e dei detenuti. Tra i casi individuali seguiti quello di Alma Shalabayeva, di Roberto Berardi e di Giulio Regeni.
Il sistema di detenzione dei migranti è stato oggetto di visite, audizioni e di tre rapporti che hanno denunciato le violazioni dei diritti delle persone che avvengono all’interno dei centri. Un sistema che prevede la limitazione della libertà personale anche per persone che vivono da anni in Italia, solo perché sono state trovate prive di documenti, ha ricordato Luigi Ferrajoli, sottolineando come la garanzia dei diritti fondamentali sia un tema che richiama direttamente le responsabilità della politica il cui compito è assicurarne l’effettività, anche rivedendo le leggi ingiuste. Come quella che ha affidato al giudice di pace l’onere della convalida del trattenimento nei centri di detenzione, convalida trasformata in una mera prassi burocratica, che spesso si risolve nella compilazione routinaria di un modulo: il destino di una persona viene deciso senza conoscerne o considerare il suo vissuto e la sua storia. Anche di queste storie si è occupata la Commissione.
Tra i diritti umani meno garantiti ci sono quelli sociali, hanno ricordato sia Amato che Ferrajoli, evidenziando come uno dei compiti più urgenti che la politica dovrebbe affrontare sia quello della lotta contro la povertà e le diseguaglianze, accompagnate dalle sempre più frequenti discriminazioni. “La mia generazione ha vissuto l’epoca della battaglia contro l’apartheid in Sudafrica” ha raccontato Giuliano Amato. Allora il punto di vista era quello di chi considerava il razzismo un problema lontano dal nostro paese, oggi può invece capitare che un candidato a governare una regione possa dichiarare pubblicamente che la “La razza bianca è a rischio”. Una legittimazione quella del razzismo che la politica per prima dovrebbe fermare, aggiungiamo noi. Peccato che l’operato del secondo Governo Prodi, di cui Giuliano Amato fu ministro dell’Interno, non si sia esattamente distinto in tal senso.
La proposta di rendere permanente una commissione che ad oggi è ancora e solo “straordinaria”, è stata sostenuta da tutti gli interventi. Se le violazioni dei diritti sono ordinarie e quotidiane, l’attività e gli interventi di una commissione istituzionale chiamata a verificarle, denunciarle e a mettere in campo proposte per prevenirle non può che diventare anch’essa permanente.
Bella e molto pertinente la chiusura dell’introduzione della relazione che ricorda come “La lotta per i diritti sia per sempre: giorno dopo giorno, storia dopo storia, sofferenza dopo sofferenza, chi crede che i diritti della persona siano ragione e misura dell’impegno personale e di quello delle istituzioni pubbliche non può che rendersi disponibile a tornare sui propri passi e, quando necessario, a ricominciare daccapo.”
Ricominciare daccapo sembra proprio ciò che dobbiamo fare anche noi attivisti della società civile, senza darci per vinti, nonostante il tunnel che si profila all’orizzonte ci sembri sempre più profondo.