L’Italia continua ad essere il paese dei campi nonostante una Strategia nazionale per l’inclusione dei Rom ne abbia previsto da tempo il “superamento”.
Nel 2018 sono ancora circa 25mila i rom che vivono in insediamenti formali e informali in Italia: 15mila persone all’interno di 127 insediamenti formali distribuiti in 74 Comuni diversi, 9.600 in accampamenti informali. Ben 195 sgomberi forzati documentati in tutta Italia effettuati al Nord (90), al Centro (80) e nel Sud del paese hanno coinvolto nel complesso 1300 persone.
Rispetto al 2017, le presenze negli insediamenti sono diminuite, ma ciò dipende soprattutto dal reperimento di soluzioni abitative alternative trovate dai rom stessi e dalla scelta che hanno fatto alcuni di tornare nel paese di origine. Ad aprire quest’ultima opzione, il clima di ostilità che si è diffuso in Italia certificato con le elezioni del 4 marzo scorso.
Sono i dati illustrati dall’Associazione 21luglio nella conferenza stampa alla Camera organizzata ieri, 8 aprile, insieme ad Amnesty International, a seguito della presentazione al Senato del rapporto annuale I margini del margine dedicato alla situazione dei rom che si trovano in condizioni di emergenza abitativa in Italia e a Roma nel 2018.
La segregazione a Roma
Tra tutte, la situazione che caratterizza la capitale merita una particolare attenzione.
A fine 2018 i Rom che vivono in condizioni di emergenza abitativa a Roma sono 6.030: 4.080 persone si trovano all’interno di 16 insediamenti formali, 3.090 in 6 “villaggi attrezzati” (Lombroso, Candiani, Gordiani, Castel Romano, Salone e La Barbuta), 990 in 10 “insediamenti tollerati”. 21luglio parla giustamente di “baraccopoli istituzionali” richiamando una definizione dell’Agenzia delle Nazioni Unite UN-HABITAT. Può essere infatti definita una “baraccopoli” un insediamento in cui gli abitanti non hanno sicurezza di possesso, le abitazioni risultano estromesse dai principali servizi base, non risultano conformi ai criteri stabiliti dai regolamenti comunali o sono situate in aree pericolose dal punto di vista geografico e ambientale. E i campi romani vi rientrano a tutti gli effetti.
Sono invece circa 1300 i rom che vivono negli oltre 300 micro-insediamenti informali e 650 le persone coinvolte in quella che 21luglio definisce una “occupazione monoetnica”.
E proprio la fotografia di una situazione abitativa scandalosa che esiste da molti anni ha spinto Amnesty International a presentare un ricorso al Comitato europeo per i diritti sociali per denunciare le violazioni dell’art.31 della Carta sociale europea, che sancisce il diritto all’abitazione. Amnesty contesta al nostro paese tre violazioni fondamentali: il ricorso frequente agli sgomberi forzati; la segregazione “etnica” dei Rom e la presenza di requisiti discriminatori (ad esempio, la richiesta di una residenza e di un lavoro continuativo sul territorio) per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica.
L’eterno e pericoloso ritorno di un’emergenza Rom
21luglio ha espresso una forte preoccupazione per ciò che è successo nei primi tre mesi del 2019: diversi segnali rinviano ricordano quanto avvenne nel 2008 quando l’allora governo Berlusconi proclamò la cosiddetta “emergenza rom”. Il 2019 ha portato 39 militari a sorveglianza dei campi rom e 40 sgomberi forzati. La legge 132/2018 con l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari rischia di lasciare circa 1000 rom privi di uno status giuridico definito. E poi ci sono quelli che 21luglio definisce i “focolai di odio”. Torre Maura potrebbe essere una scintilla che appicca il fuoco all’ostilità e all’odio nei confronti dei Rom che vivono nelle nostre città anche grazie a una retorica istituzionale che sembra legittimare atti e comportamenti ostili e discriminatori nei confronti dei rom. E il fatto che abbia potuto svolgersi vicino all’ingresso del centro che doveva ospitare 70 rom una manifestazione aggressiva per due giorni, è molto preoccupante e costituisce un precedente molto pericoloso, denuncia l’associazione.
Il vento odioso della politica
Del resto, anche nel 2018 l’Osservatorio 21luglio ha documentato 125 episodi di discorsi d’odio nei confronti di rom e sinti, di cui 38 (il 30,4% del totale) sono stati classificati di una certa gravità:“frasi d’odio, stereotipi, pregiudizi hanno una forte correlazione con le politiche pubbliche che sono spesso origine e conseguenza degli stessi”, denuncia l’associazione.
Chiudere i campi di può
Il bilancio delle iniziative istituzionali non mostra sviluppi degni di nota: sono mancati interventi sistematici volti a porre fine alla segregazione dei rom che si trovano in condizioni di emergenza abitativa.
Nel corso dell’anno sono nati nuovi campi (Afragola), oppure la chiusura di alcuni insediamenti (a Cascina, Torino e Gallarate) ha condotto a soluzioni abitative alternative solo temporanee. O ancora lo smantellamento degli insediamenti a dato luogo a ricollocamenti dei rom in nuovi insediamenti “etnici” (Merano, Rimini). A Roma, il fallimento degli interventi di inclusione sociale ha portato, nel luglio 2018, allo sgombero forzato delle 250 persone che abitavano nell’insediamento di Camping River.
Fanno eccezione nel panorama italiano le iniziative istituzionali promosse a Moncalieri, Sesto Fiorentino e Palermo che secondo la 21luglio “sono risposte da guarda con grande attenzione e da sostenere”. Segno che smantellare i campi si potrebbe fare anche utilizzando bene i finanziamenti europei che sono a disposizione. Ed è proprio questa la sfida che ci attende nei prossimi anni, come per altro l’associazione ci ripete ogni anno con i suoi rapporti puntuali.