“Segregare costa”: è il titolo del rapporto presentato ieri a Roma da Berenice, Compare, Lunaria e OsservAzione.
Due parole per esprimere in maniera sintetica ed efficace la politica privilegiata dalle istituzioni italiane negli ultimi anni, con riferimento ai cittadini rom. Una politica, appunto, di segregazione: spaziale, abitativa, sociale e culturale. Una politica che, tra l’altro, è anche particolarmente costosa: stando ai dati rilevati e analizzati nel rapporto, tra il 2005 e il 2011 le città di Napoli, Roma e Milano hanno stanziato complessivamente almeno cento milioni di euro per il sistema dei “campi nomadi”.
I costi umani di questa politica sono altissimi: ghettizzazione su base etnica in grandi campi mono-etnici, stigmatizzazione dei cittadini rom, allontanamento da un processo di inserimento sociale e di autonomizzazione.
I costi economici per la collettività sono altrettanto alti. Fondi pubblici spesi per interventi “sporadici, frammentari e realizzati con una logica emergenziale”, come evidenziato dall’avvocato Francesca Saudino, curatrice, insieme alla sociologa Caterina Di Miele, della parte relativa a Napoli.
Nel rapporto, dati, spese e stanziamenti vengono raccolti e analizzati, nonostante le difficoltà dovute alla scarsa trasparenza dei rendiconti e alla frequente mancanza di disponibilità dei responsabili istituzionali, sottolineata dai ricercatori durante la presentazione.
A Napoli, tra il 2005 e il 2011 sono stati messi a bilancio quasi 18 milioni di euro (17.988.270) per l’approntamento e la dotazione infrastrutturale di campi destinati all’ospitalità della popolazione rom: soldi definiti da Saudino“potenziali”, in quanto in realtà soltanto una quota residuale (572.274 euro) è stata effettivamente impiegata, nello specifico per la ristrutturazione del Centro Comunale di Accoglienza e Supporto Territoriale per Rom Rumeni: una struttura meglio conosciuta da tutti come “ex scuola G. Deledda”, “una scuola inagibile – ha specificato Saudino – convertita in una struttura di accoglienza su base etnica dove molte famiglie vivono nelle aule”.
“Ci sono poi grandi numeri che riguardano altre strutture, ma che ad oggi risultano ancora non utilizzati”, prosegue Saudino: è il caso del “progetto di un villaggio attrezzato nel quartiere di Scampia”, o del “progetto di campo attrezzato nell’area di Ponticelli”. Progetti non realizzati, “in un certo senso per fortuna – afferma Saudino – visto che prevedevano la creazione di enormi strutture monoetniche, contrarie a ogni logica di inserimento e tutela della dignità umana”.
A Roma, secondo i dati contenuti nelle Relazioni al Rendiconto annuale del Comune, tra il 2005 e il 2011 il mantenimento del sistema dei campi – allestimento delle aree, dotazione di infrastrutture, manutenzione, interventi socio-educativi e spese per il personale degli uffici pubblici preposti – ha comportato una spesa complessiva di 86.247.106 euro.
E’ interessante inoltre notare la spesa rilevata per un singolo intervento di sgombero: si va dai 15 ai 20.000 mila euro a intervento, anche se l’analisi del dato effettivo non è stata possibile “poichè tali operazioni sono stati inseriti nei progetti di intervento sociale, in quanto considerati dalle istituzioni interventi contro il degrado”, ha spiegato Antonio Ardolino, ricercatore della cooperativa Berenice.
Per quanto riguarda la situazione di Milano, la sociologa Manuela Tassan ha evidenziato “l’opacità riscontrata nella conduzione della ricerca a causa del muro istituzionale con cui ci si è scontrati, ad eccezione dell’ufficio nomadi”. Al di là di questa situazione, il rapporto sottolinea un passaggio da interventi più orientati all’inserimento sociale relativi al biennio 2005-2006 (per un totale di 170.000 euro l’anno), a un approccio decisamente più securitario: a partire dal 2007 vengono programmati interventi “volti a garantire il controllo dei campi, ad esempio con l’installazione di un sistema di video-sorveglianza per un totale”( 480.000 euro esclusivamente per questo intervento).
Quello che si evince dal rapporto è il “fallimento della politica fin’ora realizzata nei confronti della popolazione rom, privata totalmente di autonomia”, come sottolineato dall’antropologo Ulderico Daniele. Evidenziando che “qualità delle politiche pubbliche vuol dire anche possibilità di monitoraggio della spesa pubblica”, Daniele ha riaffermato la necessità di superare la “’olitica dei campi’: “parlare di campi nomadi significa parlare di come chiudere i campi nomadi, non ci sono soluzioni intermedie. Occorre uscire dalle politiche separatiste e rendere le persone ‘cittadini’, per dare diritti e doveri, autonomia e consapevolezza”, ha concluso Daniele.
Il rapporto offre proprio una chiave di lettura in tal senso: evidenziando lo spreco di risorse pubbliche che il mantenimento del sistema dei campi comporta, denuncia l’urgenza, sottolineata anche dal referente rom dell’Arci Nazionale Claudio Graziano durante la presentazione, di passare dai “piani nomadi” ai “piani di chiusura dei campi nomadi”.
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