La vicenda risale a sabato 10 marzo, quando la guida alpina e volontario dell’associazione francese Refuge solidaire, Benoît Ducos, ha soccorso quattro membri di una famiglia nigeriana al confine tra Italia e Francia, persi a circa 1.900 metri d’altezza nel dipartimento di Hautes-Alpes, tra il Monginevro e Claviere. Oltre al padre e ai due figli (di due e quattro anni), a compiere la traversata alpina c’era anche la mamma incinta di 8 mesi. L’intera famiglia rischiava di morire assiderata.
Cosa ci faceva lì una famiglia nigeriana? Purtroppo, dopo che i tentativi sul versante costiero, a Ventimiglia, sono stati quasi del tutto bloccati, da tempo i migranti cercano di passare in Francia attraverso i valichi di montagna, partendo dalla zona di Bardonecchia. Dall’altra parte del confine, quello francese, esiste da un anno a Briançon un centro di accoglienza privato, che il governo di Parigi ha cercato di far chiudere a più riprese. Succede allora, che i migranti raggiungano l’ultimo paese italiano prima del confine, Claviere, in bus oppure accompagnati da passeur. Una volta al confine, si incamminano lungo le piste da sci che portano al di là del confine.
La guida alpina, dunque, individuata la famiglia nigeriana sulla neve e accortosi, insieme a un altro volontario, della situazione disperata della donna che non riusciva più a camminare per le doglie, ha deciso di accompagnare la famiglia in macchina in un ospedale di Briançon per le cure necessarie e il parto.
Come ha raccontato lo stesso Ducos al giornale Libération, la Gendarmerie, alle porte di Briançon, ha bloccato l’auto con a bordo la famiglia e ha contestato la mancanza di documenti: Ducos implorava invano i poliziotti di poter raggiungere un posto sicuro per il parto, ottenendo solo un fermo diniego. Intanto la donna cominciava ad avere dolori più forti e da lì a poco partoriva.
Successivamente, mercoledì 14 marzo, Ducos è stato convocato per chiarire la vicenda alla polizia di frontiera del Monginevro (vedi anche il racconto su FranceSoir): ha ricevuto un avviso di garanzia per avere violato le leggi sull’immigrazione francese (il cosiddetto “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”) e presumibilmente andrà a processo. La guida alpina ora rischia fino a cinque anni di carcere e anche una multa di quasi 30mila euro. L’uomo, in una intervista successiva rilasciata al sito Dauphiné Libéré ha spiegato di non essersi pentito di ciò che ha fatto, pur rischiando la sua libertà.
Ricordiamo che il 28 luglio 2017, la polizia italiana aveva rinviato a piedi due minori stranieri non accompagnati (di 15 anni), provenienti dalla Guinea, verso la Francia, e Martine Landry, attivista di Amnesty International Francia, li aveva recuperati alla frontiera di Mentone/Ventimiglia, lato francese, per riaccompagnarli alla polizia di frontiera (PAF), avendo con sé i documenti che testimoniavano la domanda di presa in carico da parte dell’Aide sociale à l’enfance (ASE). Il 31 luglio, Martine Landry veniva convocata alla PAF di Mentone per essere interrogata rispetto al trasferimento “illegale” di 11 migranti (vedi sempre su FranceSoir). Lo stesso giorno le è stata inviata una convocazione per un’audizione il 2 agosto. Il giorno dopo ancora, Martine ha ricevuto una convocazione da parte del Tribunal Correctionel di Nizza per essere giudicata per “aver facilitato l’entrata di due minori stranieri in situazione irregolare”. Martine è ancora in attesa di un giudizio e anche lei rischia il carcere e la stessa multa di Benoit.
La criminalizzazione della solidarietà non è una pratica accettabile, sarebbe piuttosto auspicabile, che proprio a seguito di questi episodi, anche il governo francese cogliesse l’occasione per modificare la propria legislazione che, di fatto, trasforma in “reato” un aiuto della cittadinanza attiva ai migranti e ai rifugiati anche quando questo è essenziale per salvare la vita delle persone.
Per questo, il gruppo di medici e infermieri della missione Freedom Mountain, attiva tra Bardonecchia e il Monginevro, ha lanciato questa mattina sui social la campagna in tre lingue “Soccorrere non è un reato”, «Rescue is not a crime», «Sauver n’est pas un crime».