Sono passati solo due mesi – era il 24 settembre – dalla sventurata decisione del Corriere della Sera di pubblicare l’articolo del professor Andrea Ichino, fratello del più noto Pietro, dal titolo “Per ogni straniero in aula gli italiani calano nei test, miti da sfatare”, che i catastrofici effetti si fanno sentire.
Qualche esempio: una serie di mozioni comunali a firma Lega si riferiscono a quell’articolo per perorare le classi differenziali, che non vengono mai chiamate così ma, pudicamente, “revisione del sistema di accesso degli alunni stranieri nelle scuole di ogni ordine e grado”. Alla stessa stregua l’articolo di Ichino fa bella mostra tra i documenti inviati al ministero dell’Istruzione dalla scuola di Alte di Montecchio, in provincia di Vicenza, che ha creato in una scuola elementare due classi di soli stranieri.
La “linea” del Corriere
Si dirà: non si può mica dar colpa al Corriere e al professor Andrea Ichino, che in quell’articolo autorecensiva una sua ricerca finanziata dal ministero dell’Istruzione, che si chiama “The tower of Babel” e ha la pretesa di quantificare come cambiano le “performance” degli alunni di una classe di seconda elementare in base al numero di alunni stranieri. Proprio così: se ne tolgo uno straniero e ne aggiungo uno italiano, quanto fa? Parrebbe però il minimo che il recensore – nonché autore della ricerca – avesse specificato che quel lavoro per ora non è stato pubblicato su nessuna rivista scientifica e dunque non è stato sottoposto ad alcuna revisione di un panel di esperti. Parrebbe opportuno altresì che – dopo aver permesso al professore di sostenere una tesi così forte – il quotidiano di via Solferino avesse ospitato sulle sue colonne anche voci di dissenso, offrendo lo stesso palcoscenico. Sempre nell’ottica di una informazione il più possibile completa.
Siccome, però, non usa, vediamo di cosa parla questo lavoro scientifico balzato agli onori delle cronache e capace di scavare nel fondo di un sistema educativo in crisi. E perché bisognerebbe prenderlo con le pinze, come d’altronde è bene fare con tutti i risultati “misurabili” delle scienze sociali (lo insegna la buona epistemologia).
The Tower of Babel
Intanto i risultati di “The tower of babel”: secondo i ricercatori (tra cui un rappresentante della Banca mondiale) che hanno analizzato una II elementare e una V in base ai dati Invalsi 2009-2010, se si sostituisce a un alunno straniero un alunno nativo, le “performance” dei nativi si ridurrebbero del 12% in italiano e del 7% in matematica. Queste conclusioni, però, non sono univoche. Intanto secondo i ricercatori nelle scuole italiane si evidenzia una tendenza a concentrare gli alunni immigrati in classi più svantaggiate. Della serie: mica un fattore da niente. Inoltre il lavoro evidenzia che quelle differenze rilevate nei risultati spariscono in V elementare. Il perché, scrivono gli studiosi, deve ancora essere esplorato. Verrebbe da dire che, quindi, non c’è problema. Ma Ichino sostiene che è inutile “negare”, e che sarebbe opportuno introdurre “percorsi diversificati di integrazione graduale” invece di “mandare allo sbando” alunni stranieri nelle classi. Ma fosse solo questo: la teoria, a questo punto tutta politica, di Andrea Ichino è che l’unico modo per affrontare in modo franco la situazione è quella di istituire anche in Italia le “charter schools”, scuole autonome nei modelli gestionali e nel reclutamento degli insegnanti, perlopiù finanziate dai privati ma che ricevono anche un budget dallo Stato.
Un’ideona? Per la verità sarebbe un’importazione dell’ultima ora, visto che le charter schools, diffuse soprattutto negli Stati uniti, stanno giustappunto mostrando i loro lati deboli: vengono scelte soprattutto da alunni molto fragili, assumendo caratteristiche precise che sono sconosciute nella scuola pubblica “di tutti”, e oltretutto ricerche specifiche hanno dimostrato che non riescono a colmare le differenze dovute al background sociale (e non ci riesce nessuno, questo sì il vero fallimento del sistema educativo dal nord al sud del mondo).
A cosa servono i numeri?
Ma più in generale bisognerebbe sottolineare, chiedersi e discutere quanto interesse abbia uno studio di questo tipo. Il problema, cioè, sta tutto nel manico. E sarà il caso di affrontarlo. Libertà di ricerca, ci mancherebbe. Ma le “public policies” che cosa ci vogliono fare con questi numeri? E fino a che punto si affidano ai numeri?
I test Invalsi, sui quali si basa lo studio “The tower of Babel”, sono in continua evoluzione e aggiustamento. Qui non si sta sostenendo che non siano degli utili strumenti di lettura e che non possano offrire spunti di riflessione per le singole scuole, i gruppi classe, quei professionisti che chiamiamo maestra e maestro, professore e professoressa. Ma saranno utili solo finché il loro utilizzo rimarrà laico. Solo finché quei risultati espressi in valori misurabili saranno considerati delle spie di una tendenza, e non la fotografia fedele delle capacità di un ragazzo, di un gruppo classe o peggio ancora del professionista a cui quei ragazzi sono affidati. Il processo educativo e di apprendimento è complesso e influenzato da numerosissimi fattori, che cambiano nel tempo. Le rilevazioni statistiche sono per loro natura – e necessità – rigide e puntuali. E’ certamente una sfida intellettualmente affascinante quella di voler ricercare lo “strumento perfetto” per misurare le capacità dell’uomo. Ma ogni buon scienziato sa che questo può solo essere uno stimolo verso il miglioramento della validazione del metodo, mai una fede cieca.
I trend italiani
Da questo punto di vista la lettura dei dati Invalsi e Ocse/Pisa offrono qualche interessante elemento di riflessione sulla questione dei migranti e della scuola. La disparità di reddito e accesso alla cultura è quel gap che la scuola non riesce a colmare, neanche tra italiani. I dati ci dicono che le differenze tra competenze degli studenti migranti e quella degli italiani si attenuano quando la scolarizzazione dei migranti parte dall’asilo nido. Come è possibile affrontare questa questione quando non esistono sufficienti asili nido pubblici in Italia, e la “concorrenza” tra migranti e nativi per ottenere una posto al nido è uno dei fronti “caldi” della convivenza in Italia? A ciò si aggiunga, come dato di contesto, che l’Italia è uno dei pochi paesi che – tra il 2003 e il 2013 e in particolare tra il 2009 e il 2013 – ha investito meno nella scuola e nelle politiche educative. In totale controtendenza con la maggior parte dei paesi, che invece hanno aumentato gli investimenti.
Allo stesso modo le più moderne teorie pedagogiche sostengono che creare percorsi differenziali, omogeneizzando le classi in base alle competenze, è il modo più sicuro per ottenere risultati meno brillanti e mantenere tutti allo stesso punto da cui sono partiti.
Tra il 2003 e il 2013 nei paesi Ocse l’immigrazione è cresciuta in media dal 9 al 12%. In Italia la crescita è stata superiore – seppur su piccoli numeri: dal 2 al 7%. Comunque, un vero terremoto che ha cambiato il volto delle classi a scuola e ha fatto nascere nuove esigenze. E’ interessante osservare che il terremoto si è verificato negli stessi anni in cui sono stati tagliati i finanziamenti. Forse, se le scuole sono in difficoltà e gli alunni stranieri incontrano difficoltà nel loro processo di inserimento scolastico, questo è l’unico calcolo che è lecito fare.