Da un articolo di cronaca pubblicato il 26 ottobre su La Repubblica apprendiamo che diversi negozi nella zona dell’Esquilino, a Roma, sono stati sottoposti a controlli da parte delle forze di polizia.
Le ispezioni, realizzate il 25 ottobre, hanno impegnato, secondo quanto si legge nell’articolo, un centinaio di agenti, più dieci funzionari dell’Ufficio frodi dell’Agenzia delle dogane, che hanno utilizzato le loro apparecchiature per rilevare direttamente sul posto la presenza di eventuali sostanze nocive nei prodotti in vendita.
L’esito del controllo, ancora provvisorio, come specifica il giornalista, è di circa cinquanta negozianti denunciati. Diversi i sequestri di scarpe sulle quali sarebbero state rinvenute percentuali di cromo esavalente, piombo e cadmio superiori a quelle autorizzate dalle normative internazionali.
L’articolo segnala quanto avvenuto: un controllo, importante per la tutela dei consumatori, che ha colpito il commercio di prodotti fuori norma, con la conseguente segnalazione dei responsabili.
Stupisce però il modo di riportare la notizia, a partire dalla scelta del titolo “Scarpe cancerogene nella Chinatown dell’Esquilino”. L’utilizzo di espressioni enfatizzanti (si parla di “migliaia di calzature” trattate con sostanze nocive sequestrate grazie ad un “blitz colossale” compiuto da “un centinaio di agenti in azione” che avrebbero ispezionato “decine e decine di negozi”) contribuisce a trasmettere al lettore un’immagine del quartiere deformata. Quartiere che è tutt’altro che una “Chinatown”: molte (ma non tutte) attività commerciali sono gestite da cittadini cinesi, e in ogni caso i residenti appartengono alle nazionalità più diverse.
Fare informazione è fondamentale, ma lo è anche il modo in cui si sceglie di scrivere una notizia. Parlare di “scarpe al veleno”, di un risultato “inquietante” e di una non meglio definita ispezione a “appartamenti abitati da decine di persone” (ispezione per che cosa? Norme igieniche? Regolarità dei contratti di locazione?) induce il lettore a pensare che nell’Esquilino vi siano solo commercianti che non seguono alcuna norma e vendono prodotti pericolosi.
L’autore dell’articolo omette un’informazione che potrebbe non essere secondaria: il “blitz” ha coinvolto solo i negozi gestiti da cittadini cinesi e bengalesi o anche da altri? Leggendo l’articolo viene il dubbio che si sia trattato di un controllo “mirato”.
E’ possibile che le merci pericolose vendute nei negozi ispezionati a Esquilino siano rintracciabili anche nei negozi del centro, magari gestiti da cittadini di altre nazionalità. Un controllo analogo effettuato in questi ultimi esercizi sarebbe stato raccontato allo stesso modo?
Resta un dubbio: la “notizia” al centro dell’articolo è la grave dannosità delle merci esposte o la nazionalità cinese e bengalese degli esercenti denunciati?