Continua silenziosa, senza sosta, la strage di migranti che tentano di lasciare l’inferno libico provando ad avventurarsi attraversando il mare.
Non si fermano le partenze, quindi. E al tempo stesso si continua a morire in mare.
E in barba ai cosiddetti “porti chiusi”, si continua anche a sbarcare. Sembrerebbe un po’ questa la sintesi di quanto avvenuto in questo week end denso di avvenimenti e di contraddizioni al tempo stesso.
Ieri, domenica, alle 4 del mattino, a seguito delle cattive condizioni meteo e delle richieste delle forze dell’ordine locali, è stato concesso il permesso di sbarcare nel porto di Crotone a 64 migranti, che dalle prime ore dell’alba erano a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera italiana. Erano stati soccorsi al largo della costa calabrese e a bordo della motovedetta, c’erano anche 18 bambini.
Il naufragio di venerdì 10 maggio, invece, che ha visto coinvolta un’imbarcazione piena di migranti partita dal porto di Zuara, nella Libia occidentale (rovesciatasi e affondata in acque internazionali, a 40 miglia dalla città di Sfax in Tunisia), ha riacceso i riflettori sul Mediterraneo. Cosi come avviene ciclicamente ad ogni naufragio. Salvo poi, dopo pochi giorni, mettere tutto nel dimenticatoio e ritornare alle “politiche quotidiane”. Sedici i sopravvissuti, questa volta, salvati da pescherecci nella zona e trasferiti a bordo di unità militari tunisine, in gran parte provenienti dal Bangladesh.
Almeno 75, invece, le vittime accertate. Si tratta in particolare di 51 cittadini bengalesi, nove marocchini e tre egiziani, mentre altri 12 migranti erano originari dell’Africa centrale. Un secondo episodio si è verificato poco dopo, quando un’unità della Guardia costiera libica ha fermato un’altra imbarcazione con a bordo 101 migranti, tra cui due donne: tutti sono stati riportati a terra nella città libica di Khoms. L’Unhcr, in una nota ha fatto rilevare che quest’ultimo incidente “ha provocato la perdita più elevata di vite umane da quando circa 117 persone erano decedute o andate disperse a metà gennaio. Da alcuni mesi l’UNHCR ha espresso ripetutamente preoccupazione per l’assenza di una strategia adeguata di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale”.
E mentre proseguono le ricerche dei corpi dei dispersi, sulla coste italiane vengono portati in salvo anche 36 migranti ad Augusta dalla Marina Militare, insieme ad altri 30 salvati e sbarcati a Lampedusa dalla Mare Jonio.
La battaglia navale si sposta, cosi, dal mare aperto alle percentuali.
Da un lato, all’indomani del naufragio, l’OIM diffonde i dati aggiornati all’8 maggio, sottolineando che i decessi nel Mediterraneo da inizio anno sono pari 493, di cui 307 proprio nella rotta la rotta del Mediterraneo centrale tra Libia e Italia. Nello stesso periodo del 2018, invece, i migranti morti confermati erano 602, di cui 383 sulla rotta tra le coste libiche e la Sicilia. Sono 17 mila i migranti e i rifugiati entrati in Europa via mare da inizio anno fino all’8 maggio scorso, in calo di circa il 30 per cento rispetto ai 24.492 ingressi registrati nello stesso periodo dello scorso anno. Ancora una volta, OIM sottolinea il fatto che il numero dei morti in mare nel 2019 si avvicina a quello del 2018, nonostante il calo delle partenze (cavallo di battaglia elettorale dell’attuale governo). La traversata è, quindi, ora molto più pericolosa e salvare vite in mare, e portare i migranti in un porto sicuro (che non sia la Libia, ndr) dovrebbe essere la priorità assoluta. Ma tutto ciò non costituisce una novità. Anzi.
Dall’altro lato, il ministro dell’Interno diffonde i dati del Viminale di tutt’altro tenore rispetto a quelli forniti da OIM: “Nel 2019 meno sbarchi, meno reati commessi, meno morti in mare”, afferma il titolare del Viminale, sottolineando che dal primo gennaio 2019 a oggi sono sbarcate 1.009 persone contro le quasi 9.959 dello stesso periodo di un anno fa. I rimpatri nel 2019, riferisce il Viminale, sono 2.301 (più del doppio degli arrivi), di cui 2.179 forzati (dato aggiornato al 5 maggio) e 122 volontari assistiti (dato aggiornato al 7 aprile). Nel 2019 c’è stato inoltre “un cadavere recuperato e 402 dispersi (stima Unhcr) contro i 23 morti accertati del 2018, anno in cui la stima dei deceduti e dispersi toccò quota 2.277. Nel 2016 (governo di centrosinistra) ci furono 390 morti accertati e 5.096 dispersi”.
E mentre la ong Sea Watch annuncia il proprio ritorno nelle acque del Mediterraneo, la ong Mediterranea, in un tweet, fa sapere del sequestro preventivo della Mare Jonio. La Procura siciliana dovrebbe ancora formulare un’ipotesi di reato, oltre ad esprimersi entro la giornata di oggi sul sequestro della nave, effettuato su indicazione del Ministero dell’Interno.
Il tutto è stato poi “oscurato”, in questo turbolento fine settimana, dall’annuncio del Ministro dell’Interno di un imminente “decreto sicurezza- bis”. Un decreto in 12 articoli che, secondo il ministro, introdurrebbe nuove norme che chiariscono le competenze dei vari dicasteri a proposito di sbarchi, inasprirebbe le misure contro i trafficanti di esseri umani e le sanzioni per chi aggredisce le Forze dell’Ordine. Tra le altre novità, il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione “clandestina”.
E sebbene si tratti ancora di una bozza che deve essere discussa, cosi come formulato si presenta come un ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali, come hanno ben sottolineato in due note sia Asgi che Magistratura Democratica (noi ne abbiamo parlato qui e qui).
Salvare vite in mare è un preciso dovere, e non un reato.
E noi non possiamo restare passivi a guardare.