Polizia Scientifica e ispettori di Frontex che si aggirano tra i gazebo della Croce Rossa, identificando le persone appena sbarcate. E’ la denuncia della Rete Antirazzista Catanese, che segnala la moltiplicazione di quelli che definisce “sbarchi blindati”: operazioni di sbarco dei migranti soccorsi dalle navi delle ong coinvolte in operazioni di Search and Rescue, e dalle diverse imbarcazioni delle aeronautiche militari utilizzate nell’ambito dell’operazione europea EunavforMed – durante le quali viene impedito a giornalisti e singoli cittadini di rimanere nell’area. Questioni di sicurezza, questo ci sarebbe alla base: formalmente. Di fronte a questa espressione viene infatti sempre più da domandarsi a che tipo di sicurezza ci si riferisce, e verso chi: perché secondo quanto segnala la Rete antirazzista sembrerebbe in atto una vera e propria militarizzazione delle zone di sbarco, con la conseguente impossibilità per gli osservatori indipendenti di verificare che non vi siano violazioni dei diritti dei migranti appena arrivati.
Proprio questa mattina si è consumato l’ultimo – purtroppo temiamo solo in ordine cronologico – sbarco “blindato”: la nave della Guardia costiera maltese P61 ha condotto nel porto di Catania 272 migranti, imbarcati durante le operazioni di soccorso di questi ultimi giorni. Descrivendo le operazioni di sbarco, la Rete scrive: “oltre a non potere accedere alla banchina 04, dove stazionano alcune navi adibite al salvataggio dei migranti, addirittura alla banchina 02 da ore stazionano militari della Guardia Costiera, che impediscono per alcune centinaia di metri di poter monitorare le operazioni di sbarco”. Su segnalazione della rete, apprendiamo dunque che nessuno si può avvicinare alla zona, che nel frattempo sembra essere utilizzata, di fatto, come un grande hotspot a cielo aperto. “In assenza dei media e di associazioni indipendenti, le procedure di ‘smistamento’ dei migranti (selezionando i richiedenti asilo dagli ‘economici’ in pochi minuti) possono proseguire lontane da occhi indiscreti”. E’ questo quello che denuncia la Rete: e non da oggi. “Stamattina sotto un forte temporale è approdata allo sbarco 22 la nave di MSF-S.O.S. Mediterraneé Acquarius, con a bordo 551 migranti salvati al largo della Libia in vari interventi nei giorni scorsi. Nonostante l’acquazzone le banchine erano blindate per impedire la presenza di occhi indiscreti. Ci chiediamo cosa abbiano da nascondere le autorità preposte”, domandava la Rete il 23 agosto. “Stamattina allo sbarco 22 è approdata la nave Phoenix dell’ONG Moas, con a bordo 235 migranti ed una piccola salma. Ormai l’accesso allo sbarco 22 è bloccato sin dall’inizio da funzionari di Polizia”, scrivevano i membri della rete il 20 agosto.
Già all’avvio della cosiddetta procedura hotspot, diverse associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani segnalavano violazioni e incongruenze: nel suo dossier dall’eloquente titolo ‘Hotspot, il diritto negato’, Oxfam, in collaborazione con Sicilia Borderline, segnalava “la mancanza di un quadro normativo di riferimento a livello nazionale e europeo”, sottolineando che “la discriminazione tra richiedenti asilo e migranti economici viene fatta in modo frettoloso e arbitrario, spesso per nazionalità” ). Una posizione condivisa, tra gli altri, dal Tavolo Nazionale sull’Asilo.
Le critiche non hanno sortito alcun effetto, di fronte alle ben più pressanti – dal punto di vista delle istituzioni – sollecitazioni europee, che in un documento sull’implementazione del sistema hotspot hanno sollecitato l’Italia a identificare i migranti anche con l’uso della forza, laddove ‘necessario’ (se può essere considerato necessario e dunque legittimo obbligare delle persone a lasciare le proprie impronte, solo perché migranti).
E’ forse la militarizzazione delle banchine per aggirare l’accordo siglato da poco tra il prefetto Morcone, la Federazione Nazionale Stampa Italiana Fnsi e l’Associazione Carta di Roma, che dovrebbe assicurare ai giornalisti la possibilità di accedere in queste strutture, richieste dall’Unione Europea, e ufficialmente destinate a dividere le persone titolate a ottenere la protezione internazionale dai cosiddetti migranti economici? (sull’arbitrarietà dei criteri, la disumanità presente a monte di questo sistema, e il calpestamento dell’autodeterminazione dei migranti ci siamo soffermati più volte; qui ci limitiamo a segnalare il minidoc Hotspot Factory).
Solo poco tempo fa, l’ufficio ONU per i diritti umani sollecitava il libero accesso della società civile nelle strutture hotspot, per assicurare la tutela dei diritti dei migranti. La crescente militarizzazione delle aree di sbarco va, di fatto, nella direzione opposta, palesando l’orientamento delle istituzioni, tanto nazionali quanto europee.
Serena Chiodo