Sono 6.500, per la maggioranza di origine somala e eritrea, le persone tratte in salvo ieri, lunedì 29 agosto, dalla Guardia costiera italiana, dopo che le imbarcazioni sulle quali viaggiavano sono naufragate a circa venti chilometri da Sabratha, sulla costa libica. Il dato arriva direttamente dalla Guardia costiera, che ha operato insieme ai mezzi delle ong Medici senza frontiere e Proactiva open arms. Circa 40 le operazioni di salvataggio effettuate. “Le parole sono inutili. L’umanità dell’Europa giace con le migliaia di persone nel fondo del mare”, è la significativa frase con cui la ong spagnola ha accompagnato la pubblicazione su Twitter di un video delle operazioni di soccorso.
Di fronte ai continui arrivi di persone, infatti, l’Unione europea e i paesi membri non sembra stiano pensando a un cambio delle politiche di ingresso: i viaggi continuano a essere illegali, e pericolosi. Sono più di 3000 le persone che hanno perso la vita in mare dall’inizio dell’anno, come denunciato poco tempo fa dall’Oim. Lo ha sottolineato anche Msf in un tweet: “6500 persone salvate. E’ il 2016, e ancora non c’è una via sicura per fuggire”.
Tra le persone tratte in salvo molti minori, tra i quali un bimbo di soli 5 giorni.
“Dovete capire: nessuno mette il proprio figlio su una barca, a meno che l’acqua sia più sicura della terra”. E la frase della giovane poetessa somalo-inglese Warsan Shire, pubblicata sull’account Twitter di Msf. Una frase la cui eloquenza non necessita di aggiunte.
Di fronte ai continui sbarchi – domenica sono state più di 1000 le persone tratte in salvo nello stesso tratto di mare, e la Guardia costiera prevede un aumento degli arrivi per i prossimi giorni, legato alle buone condizioni climatiche – dal punto di vista istituzionale sembra si continui a spingere più sul cosiddetto contrasto ai trafficanti di esseri umani, che all’apertura di canali legali e sicuri. Ma senza questi ultimi, i primi continueranno a proliferare.