Sarà casuale, ma nel giro di poche ore un’altra denuncia di razzismo passa dal web e diventa virale. Se avvenisse più spesso, probabilmente la diffusione del razzismo incontrerebbe maggiori ostacoli. La sanzione sociale e pubblica attraverso un post può potenzialmente fungere da deterrente e al tempo stesso da agente di sensibilizzazione a 360° (vista la “viralità” della diffusione di alcuni post diffusi negli ultimi tempi). Ad esempio.
Chantal Saroldi, 26 anni, nota corista che si è in passato esibita con Francesco Gabbani, anche in occasione del contest internazionale Eurovision 2017, denuncia, con un post su Facebook, quanto accade a sua madre, un’operatrice sociosanitaria 56enne, originaria della Tanzania, la quale subirebbe continui e reiterati atti di discriminazione razzista nel reparto ospedaliero nel quale lavora, presso l’ospedale San Paolo di Savona. “Mi racconta dei pazienti che in ospedale suonano il campanello per l’assistenza. Quando si presenta molti pazienti si rifiutano di essere puliti o aiutati da lei perché è nera. Le chiedono di chiamare l’infermiera. La insultano come se lei non fosse un essere umano. Come se la loro bianchezza in qualche modo li rendesse migliori.”
Purtroppo, questi episodi di razzismo un po’ subdolo e strisciante sono all’ordine del giorno e sono in netto aumento. Spesso si approfitta del fatto che la persona, essendo in servizio sul posto di lavoro, difficilmente si trova nelle condizioni di denunciare. Ancor più subdolo è il fatto che il tutto spesso avviene in mancanza di testimoni, con il rischio di subire ritorsioni da parte dell’aggressore e soprattutto di avere problemi sul posto di lavoro.
«Viviamo in Italia da dieci anni: mia mamma ha sposato un uomo italiano, ha studiato per diventare assistente ospedaliero. Non capisco come possano esserci ancora persone che considerino il colore della pelle un elemento discriminante. L’aria che tira, in Italia ma anche in Europa, non è sempre rassicurante. Molti penseranno che si tratti di episodi poco rilevanti: ma l’emarginazione e la paura della diversità iniziano dai piccoli gesti e dal silenzio di chi sta intorno. Per questo ho voluto raccontare questa esperienza: perché tutti possano riflettere e alzare la guardia sapendo che, dietro l’angolo, ci sono ancora tanti pregiudizi».
La solidarietà (e tanta indignazione) a mamma e figlia arriva dal web ma anche dai colleghi di lavoro della signora, i quali tuttavia, affermano di non essere assolutamente al corrente di quanto accaduto, non avendo ricevuto alcuna segnalazione. Massimo Scaletta, coordinatore Rsu dell’Asl 2 e infermiere al San Paolo, dichiara: «Se confermato, si tratterebbe di un episodio gravissimo». «Si tratta di una persona seria e riservata – dice ancora Scaletta – Una grande lavoratrice, affidabile, e mi dispiace davvero che possa essersi trovata in questa situazione». «Non ho nemmeno mai sentito voci – chiarisce il direttore generale, Eugenio Porfido – Non ci risulta alcun episodio di razzismo nei confronti di lavoratori che operano all’interno dei nostri ospedali».
Eppure il razzismo striscia e serpeggia soprattutto negli spazi pubblici. E se non sempre arriva la discriminazione esplicita, un gesto di rifiuto o uno sguardo possono parlare da soli e fare male, al pari di uno schiaffo o di un insulto.