Nello scorso aprile, a Saronno, la sezione locale della Lega Nord aveva organizzato in piazza un presidio per manifestare il proprio rifiuto netto all’arrivo di 32 richiedenti asilo in città. “E’ passato un anno dall’inizio della campagna elettorale – commentava il sindaco Alessandro Fagioli presente al gazebo con il Presidente del Consiglio comunale Raffaele Fagioli e diversi consiglieri comunali – e abbiamo mantenuto la promessa fatta agli elettori. Saronno ha sempre detto di essere contraria all’accoglienza di profughi/clandestini e così è stato. Se poi ci sono delle realtà private che vogliono accogliere devono, non solo rispettare tutte le regole ma anche prendersi le proprie responsabilità”. Oltre al gazebo, i leghisti sfoggiavano un manifesto giallo con la scritta a caratteri cubitali “Saronno non vuole clandestini. Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini, vitto, alloggio e vizi pagati da noi nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni ed aumentano le tasse”. All’epoca, tuttavia faceva più rumore l’insolita e ben riuscita “contestazione” di un gruppo di cittadini stranieri che, per tutta risposta, si faceva fotografare davanti al gazebo con il manifesto. Tuttavia, dopo alcuni mesi e dopo alcune timide prese di posizione che stigmatizzavano tali manifesti, a metà ottobre, l’Asgi e il Naga hanno presentato al Tribunale civile di Milano un’azione antidiscriminazione per le dichiarazioni rilasciate ai giornali e per quei manifesti, con cui la Lega Nord di Saronno aveva qualificato come cosiddetti “clandestini” i richiedenti asilo che sarebbero dovuti arrivare in città.
Alberto Guariso (Asgi) ha spiegato che si ritiene che ci sia una discriminazione “anche sotto la fattispecie delle molestie”, nell’attribuzione della qualifica di cosiddetti “clandestini” ai richiedenti asilo, che la Prefettura aveva destinato alla struttura di accoglienza di Saronno. La molestia in questo caso si configurerebbe “violando la dignità di una persona e creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”.
Nella prima udienza, tenutasi il 30 novembre scorso, i responsabili del Carroccio saronnese, in particolare il segretario cittadino Davide Borghi, hanno sottolineato l’”improcedibilità” nei loro confronti, in quanto la sezione saronnese della Lega nord mancherebbe di “personalità giuridica”. Il giudice ha predisposto quindi un rinvio dell’udienza a mercoledì 8 febbraio 2017, quando ad essere citata sarà la Lega Nord di via Bellerio a Milano rappresentata, come prevede lo statuto, dal segretario federale Matteo Salvini. Asgi e Naga commentano cosi il rinvio: “La nostra base di partenza è che debbano esserci dei limiti anche nel dibattito politico, nel quale non può essere consentito qualsiasi tipo di espressione. Usare certi termini è ‘discriminazione’, anche sotto la fattispecie delle molestie attribuendo agli stranieri la qualifica di “clandestini”. Quelli che la Prefettura aveva destinato alla struttura di accoglienza di Saronno erano infatti richiedenti asilo. La qualifica di ‘clandestino’ contraddistingue un comportamento delittuoso nel nostro Paese e quindi attribuirlo ad una persona significa attribuire un comportamento costituente reato. Ecco dunque spiegato perché, a nostro giudizio, c’è stata diffamazione”. Questo tipo di azione legale (azione antidiscriminazione) è stata intrapresa già più volte anche in passato, ad esempio contro all’eurodeputato leghista Gianluca Buonanno (recentemente scomparso) che, nel corso di un dibattito televisivo, aveva definito i rom “feccia della società”,o contro l’ex assessore leghista Cristiano Borghi che sul giornalino comunale di Gerenzano aveva invitato a non affittare le case agli stranieri. Ma ancora più emblematici sono stati i ricorsi antidiscriminazione contro i manifesti del Popolo delle Libertà e della Lega Nord Abruzzo che avevano accomunato i cittadini rom ai “delinquenti”, nel 2012, o l’altra azione condotta contro la cartellonistica elettorale della Lega Nord e “l’appello per Milano” pronunciato da Silvio Berlusconi e diffuso sul sito web del PDL, in cui si paventava il rischio che la città di Milano potesse diventare una “Zingaropoli”, e che hanno configurato la fattispecie della “molestia a sfondo razziale”(vietata dall’art. 3 del d.lgs. n. 215/2003).