C’è ancora incertezza sull’arrivo di 70 richiedenti asilo a Santa Croce sull’Arno, comune di circa 15000 abitanti in provincia di Pisa. Le prime informazioni riferivano di un progetto di accoglienza predisposto nell’ex Hotel Cristallo, in disuso da anni. Ma alcuni eventi hanno imposto uno stop: la struttura, infatti, dovrebbe essere ristrutturata in quanto mancherebbero le condizioni di agibilità. Questo, nonostante l’appalto per la gestione dell’accoglienza sia già stato affidato a una cooperativa romana, che aveva individuato nell’albergo l’edificio preposto all’accoglienza dei migranti. Sorge spontaneo chiedersi perché i controlli non siano stati fatti prima dell’assegnazione del bando. Inoltre, alcuni cittadini di Santa Croce hanno protestato contro l’arrivo dei 70 richiedenti asilo, “notizia che per molti è apparsa sconvolgente”, come scrive l’associazione Straniamenti, che sottolinea: “La notizia dell’arrivo dei 70 profughi non ha creato niente: ha scoperto una situazione presente, costruita e cresciuta nel tempo, spesso alimentata, ha messo in luce un discorso razzista quasi sempre legittimato come discorso pubblico normale, senso comune degenerato e reazionario. Il linguaggio, gli atteggiamenti, le relazioni che si sono osservate intorno alla notizia danno uno spaccato di pensieri diffusi: e questo è degno di attenzione”.
Segnaliamo, e pubblichiamo di seguito, la riflessione dell’associazione Straniamenti.
La tranquillità del comune di Santa Croce sull’Arno, una laboriosa cittadina di circa 14mila abitanti equidistante da Firenze e Pisa, è stata turbata da una notizia che per molti è apparsa sconvolgente: l’arrivo di 70 profughi alloggiati in un ex hotel – dismesso da circa tre lustri – in pieno “centro storico”.
Il comune di Santa Croce sull’Arno ha creato la propria ricchezza grazie al duro lavoro dei suoi abitanti, impiegati per lo più nel settore della conceria delle pelli. E’ storicamente luogo di immigrazione, generata in prevalenza dalla forte richiesta di domanda di lavoro (un lavoro faticoso, duro, croce e vanto dei cittadini).
Attualmente circa il 23% dei residenti non ha la cittadinanza italiana. Sono persone che si sono inserite in grande maggioranza nel contesto autoctono attraverso il lavoro nelle aziende conciarie, nelle attività dell’indotto, nell’edilizia e nel lavoro di cura (molte donne non italiane sopperiscono alle carenze dello stato sociale italiano prendendosi cura degli anziani residenti del luogo). Sono persone che, arrivate da fuori o figlie e figli di cittadini arrivati da fuori, sono nate e cresciute condividendo gli anni e gli spazi con i bambini e le bambine figlie e figli di cittadini italiani. Sono persone, bambine e i bambini, che spesso agli adulti monocolore danno nell’occhio perché, questi bambini e queste bambine, sono di un altro colore, oppure danno nell’orecchio, a questi adulti monosuono, perché parlano altre lingue.
E spesso, queste persone, danno fastidio perché ricordano di essere portatori di diritti. E spesso, ci pare, agli indigeni, non piace avere i diritti, non basta: gli indigeni, gli originali, vogliono avere privilegi.
Talvolta la sola presenza di queste persone è causa, per alcuni altri, di forte disagio. Disagio spesso canalizzato per fini di propaganda politica. Disagio spesso creato dalla propaganda politica e da quella pedagogia di massa esercitata dalla Lega Nord, come autorevoli studiose e studiosi ci ricordano.
Ma è sufficiente andare in una scuola per capire come la provenienza, la lingua e il colore siano gli ultimi interessi delle bambine e dei bambini.
Quello che preoccupa, tuttavia, non è solo la questione dell’arrivo dei profughi -70 persone in fuga per la sopravvivenza la cui unica colpa è quella di essere nate dalla parte sbagliata del mondo- il cui esito finale non è scontato (attualmente l’arrivo dei profughi pare congelato: l’hotel dismesso è stato giudicato non idoneo ed è stata istituita una “cabina di regia” tra prefettura ed enti locali della provincia di Pisa per gestire –in futuro- l’ “accoglienza”), ma quello che si è comunque scatenato.
La notizia dell’arrivo dei 70 profughi non ha creato niente: ha scoperto una situazione presente, costruita e cresciuta nel tempo, spesso alimentata, ha messo in luce un discorso razzista quasi sempre legittimato come discorso pubblico normale, senso comune degenerato e reazionario.Il linguaggio, gli atteggiamenti, le relazioni che si sono osservate intorno alla notizia danno uno spaccato di pensieri diffusi: e questo è degno di attenzione.
Successivamente alla notizia dell’arrivo dei 70 profughi una manifestazione, organizzata tramite Facebook, ha visto convergere al proprio interno un centinaio di partecipanti con le più svariate motivazioni: da chi esprimeva il proprio No ad un’accoglienza imposta all’Amministrazione Comunale a chi manifestava per dire No a qualunque accoglienza, da chi auspicava e auspica una riflessione sulle pratiche di accoglienza, a chi era lì a sfruttare l’occasione per pura propaganda politica: una sfilata di striscioni, vignette, cori ritmati “Altri 70/non li vogliamo!!” e pettorine gialle con la scritta nera “Altri 70?! Adesso Basta!!!”
E’ da indagare soprattutto quest’ultima frase: 70 profughi vengono ritenuti un’indebita aggiunta ad un presunto “carico” di cui la “comunità” deve già affrontare il “peso”.
Il carico, ovviamente, sono le persone residenti a Santa Croce sull’Arno che non hanno la nazionalità italiana.
Prima, durante e dopo la manifestazione gli organizzatori si sono prodigati a ripetere che la protesta non aveva alcun colore politico, che si trattava di una manifestazione trasversale. E hanno messo in atto comportamenti violenti contro chi ha espresso le proprie perplessità o la propria distanza dalla sfilata o, semplicemente, dai modi di alcuni manifestanti. Ed è interessante anche come gli organizzatori insistano nel parlare della manifestazione comprendendo anche chi non ne sapeva niente, chi non ha potuto e chi non ha voluto partecipare: 100 manifestanti sono diventati “Santa Croce”. Come dire: anche se tu quel giorno non c’eri, ma abiti a Santa croce, ecco: anche tu hai detto No.
Ora: il rischio per le nostre società è che il destino a cui andremo incontro sia quello di comunità che si creano col cemento dell’odio. E non è un futuro piacevole.
Certo è che un principio va fatto salvo: le persone in fuga da morte, guerra e disperazione hanno il sacrosanto diritto di essere accolte: il sistema degli enti locali non può tirarsi fuori dall’accoglienza e dalla cura di ogni persona. E si deve, in ambito educativo, sociale, culturale curare e promuovere una pedagogia dell’accoglienza e della responsabilità. Al tempo stesso è fondamentale porre molta attenzione alla quotidianità, alla socialità, è fondamentale vigilare e intervenire sulle derive razziste e incitanti all’odio, sia che esse avvengano al bar che sui social network. Perché è proprio qui, sui social network, trastullati dall’inganno mentale dell’impunità, che molti si sono lasciati andare a commenti violenti e pericolosi: “Mandatemeli grossi e c’ho una bua da riempi”, “Mettiamo le cose in chiaro altrimenti se parte una spedizione punitiva non dateci di razzisti”, “Che schifo ….ci tocca scappa’ davvero”, “IO PERSONALMENTE QUESTI PERSONAGGI NON LI VOGLIO,ED A QUESTO PUNTO DIREI CHE E’ ARRIVATO IL MOMENTO DI REAGIRE TUTTI INSIEME IN MANIERA FORTE E DECISA!!!!!!”, “Quasi quasi lo farei riempire…e poi minarlo…proprio come si fa nelle cave di marmo”, “ora mostrerò a tutti la differenza tra noi e voi: I PROFUGHI mi stanno sui coglioni perchè son sudici e puzzano”, “Salvino mettici una bomba!! È l’unica salvezza per noi”, “Si potrebbe fa come Nerone”, “Tutto questo perbenismo e buonismo mi ha rotto i coglioni! Ora basta!!!”, “Così ora ce ne saranno altri 80 ad aspettare il bus di fronte al mio laboratorio, si perché questi la macchina nn la possiedono, a sporcare e sputare alla saracinesca”, “Buttiamo giù l’hotel e se vogliono vanno a dormire sotto il ponte con una tenda di decathlon”.
Tanto per citarne una parte.
Minima.
Associazione Straniamenti