Venerdì scorso, 21 settembre, durante l’inaugurazione del centro culturale Arci Darfur, due cittadini sudanesi, giunti sul posto per prendere parte all’evento, sono stati apostrofati con insulti razzisti e poi minacciati da alcuni ragazzi presenti in via dei Volsci, a Roma, nel quartiere di San Lorenzo. Dagli insulti che non avrebbero potuto essere più esplicitamente razzisti (“negro di merda torna a vendere banane nel tuo paese”, “scimmia”, “negro ti uccido”), gli aggressori sono passati alle minacce con un coltello e delle pietre: solo l’immediato intervento dei partecipanti all’inaugurazione è riuscito ad evitare il peggio. Questi i fatti che di per sé sono gravi. Ma c’è un di più.
Quella del 21 settembre non è stata la prima aggressione subita dai soci del circolo Arci Darfur: i ragazzi avevano già subito, nelle ultime due settimane, insulti quotidiani, vessazioni, fino ad arrivare a due bombe carta fatte esplodere contro la saracinesca del locale.
Tutto ciò è avvenuto in una delle vie di San Lorenzo, quartiere popolare vicino alla Stazione Termini, colpito duramente dai bombardamenti nel luglio del 1943 e roccaforte della Resistenza romana che a partire dagli anni ’70 è diventato un punto di riferimento per la sinistra romana. Grazie alla vicinanza con l’Università La Sapienza le sue strade sono attraversate, soprattutto di sera, dagli studenti.
A San Lorenzo ha avuto la sua sede Lotta continua, ha tutt’ora sede Radio Onda Rossa, Action gestisce un’occupazione, A buon diritto gestisce uno sportello legale immigrazione, in Piazza dei Sanniti lo storico cinema Palazzo è stato occupato e nelle vicinanze è attiva una palestra popolare. Per diversi anni i circoli di Rifondazione del quartiere sono stati tra i più attivi e lungimiranti, lo Sportello legale immigrati dell’associazione Progetto diritti è stato frequentato da centinaia di immigrati provenienti da tutta la città e, in Via dei Volsci 32, nelle immediate vicinanze della sede del Circolo Arci Darfur, opera da tempo un centro sociale auto-gestito.
Da qui, secondo le testimonianze che abbiamo raccolto, sono usciti gli aggressori di venerdì sera. Sembra che i fondatori “storici” del centro sociale non frequentino assiduamente il posto e che le scuse siano giunte abbastanza tardivamente. Ecco perché l’aggressione razzista dell’altra sera è, per chi vive a Roma, ancora più grave delle altre. L’area politica a cui fa riferimento via dei Volsci ha svolto e svolge in città un ruolo sociale significativo e, tra le molte attività di impegno, le lotte per il diritto all’abitare e per la garanzia dei diritti di cittadinanza degli stranieri sono tra le più importanti.
Alcuni dei leader della sinistra “di movimento”, interpellati su quanto successo, si sono prima chiamati fuori, affermando di non frequentare da tempo il posto, per poi argomentare in maniera più dettagliata quanto successo, facendo riferimento ad una situazione di disagio e violenza sempre più presente non solo in via dei Volsci, ma in tutto il quartiere.
E qui sta il punto. San Lorenzo oggi è molto cambiata: il sovraffollamento di locali commerciali l’ha trasformata inizialmente in un quartiere bohemièn alla moda, innalzando i prezzi degli immobili, favorendo speculazioni, inducendo molte famiglie “storiche” a trasferirsi altrove. La progressiva commercializzazione è andata di pari passo con l’impoverimento dell’attivismo politico e sociale sino ad arrivare ad oggi quando lo spaccio di sostanze stupefacenti è diffuso, tensioni e risse tra i frequentatori del fine settimana sono all’ordine del giorno, i luoghi di socializzazione e di animazione culturale “non commerciali” stanno scomparendo. Per questo è importante che nascano nuove realtà come il circolo Arci Darfur. Le energie sociali per impedire che le cose peggiorino ci sono, basta metterle insieme.
Dopo i fatti di venerdì sarebbe utile un confronto collettivo tra tutte le realtà sociali e culturali che sono interessate a restituire a San Lorenzo la sua storia. C’è una responsabilità che tutti noi dobbiamo prenderci per evitare innanzitutto che ci sia una prossima volta in cui la minaccia arrivi a trasformarsi in un’aggressione vera e propria, ma anche per promuovere insieme agli abitanti e alle famiglie del quartiere una riflessione comune su come sia possibile immaginarne il futuro, strappandolo all’onnipotenza della legge degli interessi commerciali (legali e non).