Quello della presunta tortura a San Gimignano non è il primo caso e non sarà l’ultimo. Il pestaggio di un detenuto tunisino di 31 anni nel carcere di San Gimignano è finito nei telegiornali dopo che gli altri detenuti lo hanno denunciato (noi ne avevamo parlato all’epoca della lettera denuncia dei detenuti). Un pestaggio umiliante avvenuto lo scorso anno, accompagnato da insulti razzisti, per il quale sono indagati 15 agenti della polizia penitenziaria ai quali si contesta, tra le altre cose, anche il reato di tortura. È una novità quasi assoluta, visto che il reato è stato introdotto nel codice penale solo nel 2017.
Quattro tra le guardie carcerarie sono state anche interdette dal servizio (la procura aveva chiesto gli arresti domiciliari) e su tutte è stata aperta un’inchiesta disciplinare da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Il pestaggio sarebbe avvenuto un anno fa e non è il primo caso del genere nel carcere di San Gimignano: il garante dei detenuti della regione Toscana Francesco Corleone aveva già segnalato la situazione pesante in quell’istituto penitenziario, mentre il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, Mauro Palma, ha ricordato come casi simili siano stati aperti dalle Procure di Torino, Ivrea, Viterbo, Salerno, Napoli, Piacenza, Udine e Brescia. Un episodio simile, avvenuto nel carcere di Monza, è stato denunciato dall’associazione Antigone nelle scorse settimane. Palma ha anche ricordato la «situazione difficile del penitenziario di San Gimignano, dove attualmente ci sono 358 detenuti su 235 posti disponibili con un sovraffollamento del 134%. Disponibili 150 posti di ‘alta sicurezza’ contro gli attuali 250 detenuti con un sovraffollamento che in questo caso raggiunge il 167%».
Il caso non è in senso stretto un caso di razzismo istituzionale, violenze o soprusi non vengono commessi esclusivamente sui detenuti stranieri. Quel che è certo è che questi, come anche nell’iter processuale, si trovano spesso a essere un soggetto particolarmente debole. È quindi possibile che le persone straniere vittime di soprusi non denuncino. Del resto abbiamo constatato in passato che il timore nei confronti delle istituzioni e in particolar modo di quelle a tutela dell’ordine pubblico, a volte scoraggia gli stranieri vittime di episodi razzisti a denunciarli. In questo caso sono gli altri detenuti ad aver sporto denuncia.
Alcuni avvocati delle persone denunciate hanno respinto le accuse, sostenendo che nei confronti del detenuto tunisino non è stata usata violenza.
La novità di questa vicenda, come di quella di Monza, è che, forse, è si stia facendo strada l’idea che il carcere non è un luogo in cui può capitare di tutto. La visibilità del caso Cucchi ha squarciato il velo e i detenuti decidono con più frequenza di denunciare. In questi casi, poi, l’amministrazione penitenziaria, invece di rimandare, guardare dall’altra parte, è intervenuta con celerità.
Il punto, in fondo, è proprio questo: la differenza tra chi in carcere lavora e chi vi è rinchiuso, è che, a prescindere dai comportamenti dei detenuti, le istituzioni devono comportarsi come tali e rispettare le regole e le leggi.